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La figura politica e umana di Livio Labor, morto ieri a ottant’anni, merita di essere ricordata ai giovani che non hanno avuto la possibilità di seguirne l’azione negli anni Sessanta e Settanta e che sono oggi di fronte assai spesso a un modo di far politica che è più vicino allo spettacolo televisivo che al perseguimento tenace e ostinato di alcuni ideali di fondo da realizzare, magari dopo decenni di lotte e di sconfitte.

Labor proveniva da una delle associazioni più significative del mondo cattolico italiano, le Acli, e all’interno di essa aveva percorso una rapida carriera politica diventandone il presidente in una fase importante: quella, fra il 1961 e il 1969, in cui andava esaurendosi il collateralismo tra la Democrazia cristiana e il mondo cattolico e alle associazioni laiche si ponevano i problemi della scelta di collocazione culturale e politica di fronte alla svolta della Chiesa maturata attraverso i pontificati di Giovanni XXIII e di Paolo Vl e il lavoro innovativo del Concilio Vaticano II.

Come Presidente delle Acli Labor proclamò apertamente la fine dell’unità dei cattolici e l’inizio di una fase nuova nella quale i cattolici si sarebbero divisi in movimenti e partiti differenti non sulla base della fede religiosa ma delle opzioni politiche e culturali. Immediata conseguenza di una simile posizione, del tutto accettata alla fine del secolo ma “scandalosa” nel senso biblico della parola in quegli anni, fu da parte di Labor la creazione prima dell’Acpol (Associazione culturale politica) cui parteciparono, oltre ai cattolici democratici collocabili a sinistra, esponenti di tutta la sinistra socialista, comunista e psiuppina, quindi di un vero e proprio partito. il Movimento Politico dei Lavoratori che si collocò negli anni successivi accanto ai partiti storici della sinistra italiana.

Il movimento di Labor, schierato a difesa dei più deboli, non ebbe una particolare fortuna elettorale e il suo leader venne poi eletto al Senato nelle liste del partito socialista. Ma l’azione nel mondo cattolico ebbe un’influenza notevole su quanti non intendevano dipendere dalla gerarchia ecclesiastica e si proponevano di condurre la parte più viva del cattolicesimo democratico a stretto contatto con le masse popolari legate al partito socialista e a quello comunista.

Chi ha conosciuto Labor, un uomo colto e intelligente, assai aperto e disponibile nei rapporti umani, ricorderà il senso della sua azione complessiva che aprì un cammino fecondo tuttora in corso nel rapporto tra i cattolici democratici e la sinistra: la posizione prima dell’Acpol, poi del Mpl fu all’origine della riflessione di molti cattolici delle vecchie come delle nuove generazioni che volevano mantenere ben salda la propria concezione culturale ma nello stesso tempo dialogare con le forze più attive dei partiti di sinistra.

Negli anni caldi e drammatici della strategia della tensione e dei terrorismi Labor assunse sempre posizioni aperte e favorevoli ai tentativi di sbloccare la nostra democrazia e di liberarla definitivamente da eredità che si trascinavano da troppo tempo nelle istituzioni pubbliche come nei cosiddetti servizi deviati. Ed è proprio questo accordo di fondo sulle caratteristiche di una democrazia moderna e di uno Stato giusto sul piano sociale ed economico che favorì lo scambio assai forte tra il dirigente aclista e la sinistra che voleva guardare avanti e liberarsi dei vecchi dogmi.

Livio Labor, le Acli e la sinistra. Il ricordo di Tranfaglia

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