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C’è materia per un trattato multidisciplinare in quel match tra Trump e Zelensky alla Casa Bianca. Un giacimento di spunti di ricerca per politologi, esperti di diplomazia e di arte della guerra, psicanalisti, mass mediologi, antropologi e, visto che ci siamo, anche storici del teatro.

Tuttavia, nell’esplosione dei dotti commenti di analisti professionali, io mi concentrerò solo su scarne considerazioni dilettantesche.

La prima sorge da una domanda: ma può un delicatissimo e fragilissimo negoziato diplomatico, peraltro non ancora definito compiutamente, essere svolto davanti a un esercito di telecamere, di reporter, di funzionari e politici di varia pesatura, nel mentre si tiene un confronto così serrato e a tratti addirittura violento?

Avevamo conosciuto fino a ieri nell’arte miracolosa della diplomazia uno strumento nobile di lavoro tra posizioni diverse e spesso apparentemente inconciliabili, che si coltivava nel silenzio dei media, tra parole dette sottovoce non dai leader ma dai lori plenipotenziari, in luoghi spesso improbabili e comunque sconosciuti dai media, uno sfinimento di stop ed go, di semilavorati che attendono l’alesatura finale da parte di qualcuno, un’opera spesso lunga di cessioni reciproche, che trova il suo punto d’equilibrio con un’equa ripartizione delle scontentezze e che intanto viene offerta su un piatto d’argento ai decisori finali, in quanto l’intesa è già bella e fatta e attende solo la firma in favore delle telecamere.

Insomma: la strategia del silenzio operoso e pudico della diplomazia che funziona e che fa andare avanti la coesistenza tra popoli.

Invece cosa abbiamo avuto davanti agli occhi? Una sceneggiata sguaiata, che, se non avesse come sostrato un’ infinita catena di morte e distruzioni sarebbe apparsa come una parodia del duetto Berlusconi-Fini nel celebre scambio di gradevolezze in cui l’altro disse all’uno le famose parole finali: “Che fai, mi cacci?”

La seconda considerazione ha a che fare con ciò che pare un mutamento di postura ormai conclamato degli Usa nei confronti degli alleati occidentali di sempre al di qua dell’Atlantico: il privilegiamento dell’interlocuzione con Putin e l’allontanamento dalle scelte politiche di sostegno all’Ucraina in quanto parte “offesa” nell’ “operazione militare” russa, racconta il consolidamento di un disimpegno americano in questo quadrante del mondo che parte da lontano e trova sostegno nel contribuente yankee che non vuole più spendere un solo cent per il mito dello sceriffo mondiale a sostegno dell’alleato atlantico.

La conseguenza di ciò comporta un non detto che è però nelle cose e appare come una specie di promozione della Russia dal ruolo di potenza regionale, cui era stata costretta dopo la fine dell’Urss, a quello di superpotenza globale che tratta direttamente con l’America, come si faceva ai tempi belli della Guerra Fredda. Insomma: Europa, sono solo cavoli tuoi.

Terza considerazione: attenti a non coltivare troppo velleità mediative con Trump in ragione di qualche amichevole buffetto ricevuto di recente. Dal vecchio continente occorre una sola voce, non c’è all’orizzonte nessuna scorciatoia per i singoli governi.

La stessa trappola delle barriere daziali di Trump resterà superabile non per ragioni di simpatia o amicizia, ma solo mettendoci dentro cospicui investimenti esteri nell’economia americana per tappare un po’ di buco nero del suo debito pubblico.

Ultima considerazione: la reazione europea è parsa coerente.

Un buon segno. Chissà se da questa storia sgangherata di urla e minacce con terre rare e soldoni come sottofondo e sottosuolo, per un’eterogenesi dei fini che è sempre nell’aria in questo tempo originale che viviamo, non possa nascere qualcosa di buono. Un’Europa unita, per esempio, che sceglie e decide.

Phisikk du role - Trump, Zelensky, l’Europa e l’eterogenesi dei fini

Chissà se da questa storia sgangherata di urla e minacce con terre rare e soldoni come sottofondo e sottosuolo – il match fra Trump e Zelensky – per un’eterogenesi dei fini che è sempre nell’aria in questo tempo originale che viviamo, non possa nascere qualcosa di buono. Un’Europa unita, per esempio, che sceglie e decide. Il commento di Pino Pisicchio

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