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I cittadini svizzeri hanno approvato ieri con il 50,3% un’iniziativa popolare “contro l’immigrazione di massa” (Rsi), sconfessando la visione del governo sul tema. La consultazione vuole limitare i permessi di dimora per stranieri con “tetti massimi annuali e contingenti annuali” applicabili a tutti i permessi per stranieri, inclusi i cittadini dell’Ue, i frontalieri e i richiedenti asilo. Sono dunque a rischio gli accordi di libera circolazione con Bruxelles, che reagisce negativamente.
Critiche, quelle della Commissione e di alcuni esponenti di rilievo dell’Unione, che Marcello Foa (nella foto), già caporedattore esteri e inviato speciale del Giornale, oggi direttore generale di TImedia e amministratore delegato del Corriere del Ticino, considera “arroganti” e “sintomatiche di una carenza di democrazia” che affligge tutti gli Stati membri.
In una conversazione con Formiche.net il giornalista e manager spiega perché, a suo parere, quello elvetico è un “voto storico” che “anticipa un sentimento che troverà piena espressione alle prossime elezioni europee”. Mentre sulle proteste della Lega Nord dice che…

Foa, in un mondo che tende ad abbattere le frontiere tra Stati, che senso ha il voto svizzero?
Il risultato di questo voto è una difesa identitaria dell’essere svizzeri. Una reazione forse emotiva, ma di autodifesa. Probabilmente da fuori non si percepisce, ma la Svizzera è un Paese sotto attacco da molti anni. È stato inserito nella lista grigia dei “paradisi fiscali” dell’Ocse; costretta dagli Usa a rivedere i termini del suo segreto bancario con un metodo che potrebbe essere definito ricattatorio; infine Bruxelles l’ha obbligata – pur non facendo parte dell’Unione – ad accettare indiscriminatamente la libera circolazione di persone nel Paese di tutti i cittadini, anche quelli di Paesi candidati alla ue ma non ancora membri. Una misura dalla quale ad esempio il Regno Unito, che invece aderisce mall’Unione, è stato esentato.

Perché Bruxelles dovrebbe vedere di cattivo occhio il risultato del voto elvetico?
Poche settimane fa il Commissario al mercato interno Ue, Viviane Reding, aveva avvertito il popolo elvetico che “la Svizzera non può scegliere ciò che le piace”. Già da domani inizierà il fuoco di fila dell’Unione europea a furia di pressioni, minacce, ricatti per imbrigliare la Confederazione, che pure si è espressa democraticamente. Un concetto che sfugge agli euro-burocrati, abituati a imporre dall’alto le proprie scelte. È innegabile che in tutta Europa stia crescendo il malcontento. I cittadini si rendono conto che il voto nazionale per scegliere governi che si susseguono serve a poco, per non dire a nulla. Ora sanno che una legge di un Parlamento nazionale decade automaticamente se entra in contrasto con la legislazione comunitaria. Si sentono impotenti, non una cessione così estesa di sovranità all’Unione europea. È un problema serissimo, che rischia di far implodere l’Unione europea.

Che relazione c’è tra il sentimento svizzero e la crescita dei movimenti populisti in Europa?
Il voto elvetico è storico, perché anticipa il sentimento che un numero crescente di popoli europei provano nei confronti dell’Unione europea e delle organizzazioni sovranazionali. Un sentimento che troverà piena espressione alle prossime elezioni europee.

Come considera le reazioni critiche della Lega Nord all’iniziativa popolare?
Le trovo paradossali. Sono in crisi di identità. Da un lato dovrebbero appoggiare iniziative come queste che vanno nella direzione della richiesta di maggiore autonomia territoriale e identitaria. Ma poi devono fare i loro calcoli elettorali e considerare i 65 mila frontalieri che ogni giorno lavorano in Svizzera, che diventano, considerando le famiglie, un corpo elettorale di almeno 200mila persone. E dunque critica la Svizzera per aver difeso quell’identità. Ieri Matteo Salvini ha un po’ corretto il tiro, intuendo la contraddizione. Alla lunga il Carroccio dovrà, anzi riuscirà, a fare pace con se stesso. Tanto più che il voto non significa che da domani la Svizzera chiuderà le frontiere e i frontalieri italiani che lavorano nel Canton Ticino perderanno il posto di lavoro.

Nonostante il risultato, nemmeno in Svizzera sono tutti favorevoli a una revisione degli accordi con l’Ue, a cominciare dal mondo economico, per terminare con i principali partiti, il governo e persino i sindacati. Cosa pensa che accadrà?
Il popolo svizzero ha dato mandato al Consiglio federale di rinegoziare i trattati esistenti e di introdurre leggi che fissino dei contingenti di manodopera. Il tutto dovrà avvenire in tre anni. Ma non sarà necessario aspettare che passino tutti per capire che verosimilmente l’esito non sarà in sintonia con il volere del popolo elvetico. L’oligarchia europea si prodigherà per trasformare tutto in un nulla di fatto, imponendo alla Svizzera delle condizioni capestro che verosimilmente costringeranno la Confederazione a fare marcia indietro. Per la Ue, la ribellione elvetica è cruciale in quanto potrebbe sancire un pericoloso precedente; dunque farà di tutto per scongiurare un percorso di rottura e impedire che la Svizzera oggi e altri Paesi domani possano riappropriarsi della sovranità perduta o erosa.

Altro che xenofobia svizzera, il vero pericolo sono i diktat di Bruxelles. Parla Foa (Corriere Ticino)

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