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Il centrodestra avrà una sua ricomposizione naturale, ma il Pd è già cambiato, ragiona con Formiche.net il sottosegretario agli Esteri Mario Giro. L’esponente popolare punta l’indice sullo spazio che si intende creare tra i due blocchi classici, definito “popolarismo moderno” che certamente si rifà a una determinata tradizione “ma che guarda al futuro interpretando la convinzione che l’Italia non possa essere solo bipolare”.

L’alleanza tra Udc e Popolari annunciata da Mario Mauro e Lorenzo Cesa è l’anticamera di una nuova casa unitaria dei moderati?
Direi che potrà essere un nuovo inizio per un popolarismo innovativo, ma non tanto per una casa dei moderati, almeno stando al significato che il termine moderati ha avuto nello scacchiere politico italiano. Ciò che inizialmente avevamo previsto era una coalizione più allargata per le elezioni europee, che comprendesse anche il Centro Democratico ed eventualmente Scelta Civica. Non è stato possibile ma a questo noi miriamo: allargare lo spazio centrale oltre la sinistra del Pd e Fi dall’altra parte, a cui mi pare si stia agganciando il Ndc.

Il senatore popolare Luigi Marino da queste colonne ha invitato tutto il centrodestra, compresa Forza Italia, a ricompattarsi: è possibile con questi attori un Ppe italiano?
É proprio questo il punto. Una visione di questo genere ricompone il fronte dei moderati, ma non è questa l’intenzione con cui abbiamo dato vita ai Popolari per l’Italia. Il centrodestra avrà una sua ricomposizione naturale, ma il Pd sta già cambiando e il nuovo protagonista ne è in qualche modo l’artefice. Tra questi due blocchi noi pensiamo debba esistere uno spazio che definiamo “popolarismo moderno” che certamente si rifà ad una data tradizione ma che guarda al futuro interpretando la convinzione che l’Italia non possa essere solo bipolare. E a maggior ragione tenendo conto che già esiste il M5S che rende lo scacchiere tripolarizzato.

Ci sarà questo spazio?
Lo vedremo, è una nostra scommessa.

Che senso ha, come si è chiesto il direttore di Formiche.net Michele Arnese, incontrarsi e abbracciarsi a Dublino per poi tornare in Italia e coltivare le proprie piccole ambizioni?
Quello è uno schema europeo, fra l’altro già diverso dal momento che contiene di fatto altri poli come dimostrano i sette gruppi presenti nel Parlamento europeo. Ovviamente ogni Paese lo interpreta in modo diverso, anche la stessa idea del Pd non corrisponde esattamente al Pse, pur facendone parte.

Come potrebbe il tema dell’Europa essere collante guardando al nuovo centrodestra dei prossimi dieci anni?
Se guardassimo a quella prospettiva avremmo in Italia e in Europa due filoni diversi. In primis bisognerà attendere il risultato delle prossime europee, quello che noi temiamo è un polo antieuropeista, xenofobo e localista che difficilmente sarà collocabile nello scacchiere. In seguito in Italia la ricomposizione a destra non potrà non tener conto dell’impatto di Forza Italia. Per questa ragione noi ci poniamo in un’altra prospettiva.

Come cambia il centrodestra dopo la conferma dei due anni di interdizione per Silvio Berlusconi?
In questo momento credo cambi poco, Berlusconi resta il leader di Fi, mantiene una preponderanza evidente di cui tutti quelli che si rifanno alla sua area dovranno tener conto, sia che lui ci sia personalmente sia che non ci sia.

Quali le prospettive dell’alleanza liberal-democratica con Tabacci e Boldrin?
Una visione di popolarismo moderno tiene conto anche di una alleanza con liberali e democratici. La nostra sarà una relazione molto stretta anche se non siamo riusciti a fare una lista comune. Ma l’interlocuzione è molto forte.

É definitivo il “no” dei montiani?
Ora lo è, ma in prospettiva credo che l’interlocuzione, sia con noi che con loro, riprenderà dopo le europee.

Queste del prossimo maggio saranno ricordate come le elezioni più euroscettiche della storia comunitaria: come migliorare l’Ue senza scadere nel populismo anti tutto?
Su questo versante sta rispondendo molto efficacemente Matteo Renzi. Rispetto a ciò che ha sostenuto ovvero che il suo viaggio a Berlino è stato diverso rispetto a quello dei suoi predecessori Monti e Letta, ho replicato usando una metafora pokeristica: Monti andò a coprire la posta, Letta andò a vedere. E oggi Renzi rilancia. A dimostrazione del fatto che in Europa abbiamo bisogno di più politica. Il premier rilanciando e spiegando la sua visione ai tedeschi, che non sono più terrorizzati come lo erano nel 2011, sottolinea ciò che realmente ci occorre. E quando dice “non vado in Europa a fare un esame, ma a ragionare sulle politiche dei prossimi vent’anni” coglie in pieno il nocciolo della questione.

twitter@FDepalo

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