Qual è il senso del carteggio fra Commissione europea e ministero dell’Economia italiano sulle banche in dissesto? Il carteggio è precedente alla decisione del governo di ricorrere al Fondo di risoluzione previsto dalla direttiva Ue detta Brrd. Anzi, sulla base di quella corrispondenza l’esecutivo italiano – visto il sostanziale niet di Bruxelles all’intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi – decide di ricorrere alla risoluzione di Banca Marche, Banca Etruria, Cassa di risparmio di Ferrara e Cassa di risparmio di Chieti.
Dunque, qual è il senso dello scambio epistolare? Per capirne di più si possono leggere le ultime righe di un articolo del quotidiano Il Sole 24 Ore scritto da un giornalista esperto di cose europee e tedesche, ovvero Beda Romano. Ecco come si conclude il suo articolo odierno:
“Se la Commissione europea, sulla base delle regole europee e di precedenti in recenti casi spagnoli e polacchi, equipara l’uso del Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd) a una uscita del bilancio pubblico è per evitare che un Paese possa aggirare le norme comunitarie sugli aiuti di Stato. Se queste ultime esistono è anche per assicurare nel mercato unico parità di trattamento. In origine, dovevano servire a salvaguardare soprattutto i paesi più indebitati, rispetto a quelli con maggiore margine di manovra nelle finanze pubbliche“.
Rileggiamo con calma. Primo punto: Bruxelles equipara l’uso del Fondo interbancario di tutela dei depositi a un’uscita del bilancio pubblico per evitare che un Paese possa aggirare le norme comunitarie sugli aiuti di Stato.
Ammesso, e non concesso, che davvero la Commissione Ue consideri gli interventi di Fitd (alimentato solo da risorse del sistema bancario) come un aiuto di Stato (come da decisione sulla vicenda Tercas), lo stesso esecutivo europeo – come da nulla osta recenti agli interventi statali nella banca tedesca HSH e in quella portoghese Banif – ritiene che se l’azionista pubblico di una banca salva, ovviamente con risorse statali, l’istituto di credito pubblico questo non è un aiuto di Stato. No comment.
Secondo punto del pensiero di Bruxelles: se le norme comunitarie sugli aiuti di Stato esistono è anche per assicurare nel mercato unico parità di trattamento. Ah, parità di trattamento. Ed è parità di trattamento consentire di salvare allo Stato banche pubbliche e non consentire a istituti privati (tramite il Fondo interbancario di tutela dei depositi) di salvare altre banche private? No comment. Non ci sono gli estremi di una concorrenza sleale fra banche pubbliche che possono essere salvate dagli Stati e istituti privati che non possono essere salvati da altre banche private? O la concorrenza sleale riguarda solo i privati? Domanda da girare ai soloni turbo liberisti e super europeisti.
Terzo punto: le medesime norme comunitarie sugli aiuti di Stato dovevano servire a salvaguardare soprattutto i paesi più indebitati, rispetto a quelli con maggiore margine di manovra nelle finanze pubbliche. Ovvero: quelle norme erano state pensate per evitare che gli Stati con minor deficit e debiti potessero usare la finanza pubblica per distorcere il mercato a danno di quegli Stati (come l’Italia, ad esempio) che a causa di un elevato debito pubblico in percentuale del Pil non potevano spendere e spandere.
La conclusione, ossia la realtà, è che quegli Stati (come l’Italia) che non hanno alcuna banca pubblica né si sono ingozzati del fondo europeo alimentato dagli Stati, devono assistere all’attivismo di Stati in cui ci sono ancora istituti di credito pubblici che possono mungere ancora soldi dallo Stato con il via libera di Bruxelles, per non parlare dei fondi pubblici che i vari Stati hanno elargito agli istituti di credito.
Ecco pochi numeri emblematici
Benvenuti in Europa.
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