Intervista al sindaco di Firenze, Dario Nardella: “Il mancato successo del governo certificherebbe che abbiamo perso tutti i treni possibili e immaginabili per la ripartenza, tanto dal punto di vista sanitario quanto soprattutto sotto il profilo economico”. Nessun dubbio poi sul partito: “Condivido fortemente il metodo e l’atteggiamento con cui Enrico Letta si è mosso da neosegretario in questo primo mese: la priorità è ridare anima e cacciavite al Pd”
“Se fallisce Mario Draghi, fallisce il Paese. E allo stesso modo, se fallisce Enrico Letta, fallisce il Pd. Ecco perché è necessaria, oggi più che mai, massima unità, sia nel governo che nel partito”. Ad avviso di Dario Nardella quelli dell’esecutivo e del Nazareno sono due destini che in qualche modo si uniscono: in entrambi i casi, secondo il sindaco di Firenze, non esiste alternativa. Anzi sì, una almeno: l’abisso.
“Il mancato successo del governo certificherebbe che abbiamo perso tutti i treni possibili e immaginabili per la ripartenza, tanto dal punto di vista sanitario quanto soprattutto sotto il profilo economico”, ha affermato Nardella, d’accordo con il percorso di riaperture indicate ieri dal premier, ma preoccupato dal crescendo di polemiche che nelle ultime settimane ha accompagnato sempre di più la maggioranza.
“È bene che tutte le forze politiche che sostengono il governo abbassino i toni: non so se i politici romani vivono nel Paese reale, ma gli italiani sono stanchi, sfibrati, e vogliono tutto tranne che vedere una politica rissosa che sfrutta le preoccupazioni e le disgrazie di cittadini e imprenditori per avere visibilità”, ha sottolineato ancora Nardella, che ieri ha partecipato all’iniziativa dal titolo “Restart Toscana. Sfide e priorità per il rilancio dell’economia regionale” organizzata dall’Istituto per la Competitività (I-Com) con la media partnership di Formiche.net (qui la nostra intervista ad Antonella Mansi).
Per il sindaco di Firenze, in un contesto di emergenza come questo anche l’opposizione, oggi rappresentata in Parlamento solo da Fratelli d’Italia, dovrebbe dare il suo contributo, fare la sua parte. Ma così non avviene – ha osservato Nardella – come dimostrerebbe la vicenda della mozione di sfiducia contro il ministro della Salute Roberto Speranza: “Attaccare in modo pretestuoso il governo e tifare per il suo fallimento è irresponsabile. Come se la politica italiana remasse in una direzione in mezzo alla tempesta mentre c’è una persona che nel frattempo buca la barca per farla affondare. Se Fratelli d’Italia pensa di guadagnare qualche voto con attacchi strumentali di questo tipo, si troverà a mio avviso a pagare un tributo pesante anche in termini di consenso”.
Sindaco, ma l’opposizione non fa in qualche modo il suo mestiere?
Quello che non si capisce è che questo, piaccia o no, è il governo dell’ultima spiaggia. Se mettiamo insieme le vaccinazioni e il Recovery Fund capiamo quanto sia decisivo questo momento per il Paese. Se fallisce questo governo, non abbiamo un’alternativa valida. Mi auguro che tutti riflettano sulla necessità di dare certezze ai cittadini.
La Lega ha tergiversato ma alla fine ha detto che non sosterrà la mozione di sfiducia. Un piccolo passo avanti oppure il livello di scontro rimane troppo alto?
La Lega non capisce che se attacca Speranza fa del male a sé stessa. Quando c’è un governo di unità nazionale, i cittadini non distinguono tra le varie forze politiche che sostengono l’esecutivo e danno un giudizio d’insieme. Se la Lega attacca Speranza, sega il ramo su cui è seduta.
Senta Nardella ma questo governo non ci sta mettendo più del previsto a trovare una sintesi tra i due principali interessi in gioco in questa emergenza, la salute e l’economia?
Nel governo ogni ministro gioca una parte. Io mi aspetto dal ministro del Turismo o da quello dello Sviluppo, ad esempio, maggiore attenzione sulle riaperture e sul rilancio economico. E al tempo stesso mi attendo dal ministro della Salute massimo rigore sul tema sanitario. Il punto è che il governo deve fare sintesi tra le varie posizioni, come un’orchestra: non ne ho mai sentito una in cui tutti gli strumenti suonano esattamente la stessa nota. Ci sono strumenti diversi, ci sono parti diverse ma alla fine deve uscir fuori la sintonia. Questo è il lavoro in cui è impegnato il governo Draghi: fare sintesi tra le diverse, tutte legittime, preoccupazioni che emergono dal Paese. Pensare di mettere i medici contro i ristoratori o i poliziotti contro i manifestanti è una follia totale.
Come procede, invece, il dialogo tra i sindaci e Mario Draghi? In passato non erano mancate le critiche dell’Anci nei confronti di Palazzo Chigi.
Stiamo progressivamente costruendo un’interlocuzione via via più sistematica e intensa. A giorni avremo un incontro con il presidente del Consiglio e i quattordici sindaci metropolitani che rappresentano l’ossatura del Paese: parleremo non solo dell’emergenza in atto, ma soprattutto dei criteri con cui utilizzare i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il nostro obiettivo è che Palazzo Chigi consideri davvero i sindaci come attori strategici, anche perché l’Unione europea è stata chiara: il Recovery Fund ha bisogno di un coinvolgimento dei governi locali sia nella progettazione del piano, sia nella sua realizzazione.
Vi stanno in qualche modo coinvolgendo in questa fase di scrittura del Pnrr?
Il banco di prova di questa collaborazione sarà da maggio in poi quando il piano sarà consegnato alla Commissione europea e si comincerà a lavorare sui progetti concreti. Più il governo si fiderà di noi e più chance di successo avrà, perché i sindaci sono la prima linea, Lo siamo stati fin dal primo giorno dell’emergenza. Siamo noi i destinatari delle preoccupazioni e delle critiche di imprese e cittadini: vengono sotto il municipio quando hanno un problema, non vanno altrove. Quindi, per forza di cose, dobbiamo essere interlocutori privilegiati del governo. Diciamo che siamo a metà del percorso: speriamo che Draghi accresca questa consapevolezza e ci coinvolga in modo strutturale.
Passando al partito, davvero pensa che se fallisce Letta, fallisce il Pd?
Non possiamo permetterci il lusso di sprecare l’opportunità di questa nuova fase del partito: se ci sono difficoltà dobbiamo essere i primi a superarle in modo costruttivo. Condivido fortemente il metodo e l’atteggiamento con cui Enrico Letta si è mosso da neosegretario in questo primo mese. Ha riaperto le porte del partito a una partecipazione capillare del territorio con le iniziative dei circoli, ha introdotto messaggi nuovi come l’attenzione ai giovani. E sulla parità di genere è passato dalla retorica ai fatti. E’ ovvio che ci sarà tanto lavoro da fare, ma la leadership di Letta mi convince perché non è solitaria ma è fortemente legata a un’idea di intelligenza collettiva.
Sulle alleanze invece? Si continua a parlare di cinquestelle ma intanto un paio di giorni fa, a Piazzapulita, Lettta ha aperto anche nei confronti di Forza Italia. Che ne pensa?
Intanto ha rimesso in ordine i fattori: la priorità è ridare anima e cacciavite al Pd. Ma cosa vuol dire? Innanzitutto restituire al partito un’identità marcata, visibile e distinta, su temi concreti come il lavoro, l’ambiente, lo sviluppo sostenibile. Il cacciavite significa la concretezza delle azioni che devono essere coerenti con gli annunci. Questa è la priorità, solo dopo vengono le alleanze. Non ha senso cercare compagni di viaggio se non sappiamo chi siamo e dove vogliamo andare.
È stato questo il messaggio di Letta?
Sì, ed è passato molto chiaramente. Le alleanze vanno costruite con pragmatismo e buon senso. Partendo dai contenuti. Io credo che il Pd, per com’è nato e si è sviluppato in questi anni, abbia vissuto una continua dimensione di transizione. Ora però dobbiamo costruire l’approdo definitivo, che sta nel recuperare lo spirito dell’Ulivo per creare una grande coalizione dei democratici e riformisti italiani. In questo senso non si possono porre veti aprioristici, ma bisogna partire dai contenuti. Questo è il punto. Dopodiché bene dialogare con tutti.
Tutti tutti? Dunque anche Forza Italia e ovviamente i cinquestelle, giusto?
Nessuno è indispensabile, ma nessuno va escluso a priori. Ovviamente l’elemento irrinunciabile è l’appartenenza al campo democratico, profondamente e sinceramente europeista, legato ai valori fondanti della Costituzione. Perché alla fine, nonostante i vari sistemi elettorali che nel tempo si sono avvicendati – l’uno peggio dell’altro – rimane sempre uno schieramento bipolare nel Paese: da una parte i conservatori nazionalisti ed euroscettici, dall’altra parte i riformisti e democratici, liberali ed europeisti.
Nardella, in queste settimane ricorrono i 160 anni delle relazioni diplomatiche tra Italia e Usa. Da sindaco di Firenze qual è il suo messaggio?
L’Italia ha una fortuna rispetto a tanti altri Paesi: non è solo una nazione, è anche uno straordinario affresco di identità locali e città. Quando dici Francia, dici Parigi. Quando dici Inghilterra, dici Londra. Ma se dici Italia, dici Roma, Firenze, Venezia, Milano, Palermo, Torino, Napoli. Questa pluralità è il nostro valore aggiunto e non è un caso che gli americani amino l’Italia e ancor di più le sue città, a cominciare da Firenze. Qui abbiamo 45 università americane: 8mila giovani americani che ogni anno vengono a studiare e che non vedono l’ora di ritornare non appena riapriranno le frontiere. Noi siamo pronti a rinnovare anche nel terzo millennio questa vocazione di “bridge”, di ponte, che la storia ci ha consegnato fin da quando un certo Amerigo Vespucci diede il suo nome a questo straordinario continente che è l’America.