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Vi spiego perché l’innovazione è la chiave per disegnare la capitale di domani. Parla Simoni

“Dobbiamo tornare ad essere attrattivi e l’unico modo per riuscirci è puntare sull’innovazione, che poi significa mettere chi ha buone idee nella condizione di poterle realizzare”. Intervista a Marco Simoni, professore di Politica economica della Luiss e presidente dello Human Technopole: “A Roma occorrono progettualità e grandi piani di sviluppo, che non richiedono necessariamente investimenti enormi, ma certamente dialogo, organizzazione e pianificazione”

È l’innovazione il driver fondamentale sulla base del quale costruire il presente e il futuro di Roma. “È l’unica strada che può consentire alla città eterna di ritrovare un percorso di crescita”, ha affermato il professore di Politica economica della Luiss e presidente dello Human Technopole Marco Simoni, che ai destini della capitale ha recentemente dedicato numerosi editoriali dalle colonne del Messaggero e dell’Espresso, oltre al saggio dal titolo “La questione romana” scritto per la rivista Il Mulino (lo abbiamo recensito qui).

Intervistato dall’Istituto per la Competitività (I-Com) per il podcast Hello Innovation su Radio Activa, Simoni ha sottolineato innanzitutto come la ripartenza del Paese dipenda dalla rinascita economica di Roma: “È troppo importante per l’Italia, in quanto capitale e unica città di dimensioni globali: inevitabilmente, la sua condizione ha un impatto decisivo sulle nostri sorti a livello nazionale”. E oggi, com’è noto, siamo impegnati in un percorso di ripartenza non privo di difficoltà, da entrambi i punti di vista: “Dobbiamo tornare ad essere attrattivi e l’unico modo per riuscirci è puntare sull’innovazione, che poi significa mettere chi ha buone idee nella condizione di poterle realizzare”.

In questo senso, ad avviso di Simoni, è anche e soprattutto da qui che passa la differenza tra una città che progredisce positivamente e una che, al contrario, si avvita su sé stessa: “Roma è entrata in crisi perché il governo della città ha completamente tralasciato la dimensione della progettualità e i grandi piani di sviluppo, che non richiedono necessariamente investimenti enormi, ma certamente dialogo, organizzazione e pianificazione”. E che quindi, naturalmente, hanno bisogno anche di continuità amministrativa da un lato e condivisione – che non vuol dire per forza di cose unanimità – da parte degli attori politici, economici e sociali della città.

Ecco perché, sotto questi molteplici profili, un significato particolare è da attribuire all’idea del nuovo Politecnico di Roma avanzata da Unindustria e sostenuta da un fronte vasto che comprende le associazioni economiche della città, il mondo delle università, gli esperti e, almeno a parole, pure le istituzioni cittadine e regionali: “È fondamentale che questo progetto possa prendere forma: sono estremamente favorevole anche sulla scorta di quanto avvenuto in altre città. Penso alla mia esperienza a Milano, con Human Technopole, dove stanno arrivando scienziati da tutto il mondo grazie a un progetto fortemente innovativo e indipendente, con il risultato di attrarre miliardi di euro di investimenti privati”. Quindi, oltre al valore aggiunto in termini di ricerca che l’istituto porta naturalmente con sé, c’è un indotto economico estremamente significativo: “È quello che si chiama ecosistema, esiste in tantissime città del mondo, non solo a Milano. Ma a Roma è del tutto assente”.

Con la conseguenza di impedire alla capitale d’Italia di sfruttare appieno le sue potenzialità in termini di innovazione, che pure ci sono e sono rilevanti: “Abbiamo aziende di qualità globale, università che producono tantissima ricerca di eccellenza, ma non abbiamo ecosistemi. Ecco, sull’idea del politecnico – che è molto originale – occorre che si riesca a passare dalle parole ai fatti. Dobbiamo impegnarci per tradurla in realtà”. Altrimenti – ha continuato Simoni – “c’è il rischio concreto che questo grande dibattito rimanga, ancora una volta, nella categoria delle utopie che non si realizzano. E a Roma ne abbiamo viste troppe negli ultimi quindici anni”.

Ma da dove occorre iniziare sotto questo profilo? Come si costruisce un ecosistema? Ad avviso di Simoni, bisogna partire “dall’identificazione di un luogo fisico, ad esempio un quartiere, che possa caratterizzarsi per esserne la sede principale. Ora stiamo parlando di innovazione di tipo tecnologico, ma pensi al polo che può esistere tra il Museo Maxxi e l’Auditorium Parco della Musica. Che grande ecosistema dell’arte, della musica e della cultura potrebbe essere quello?”. Ma non solo, lo stesso potrebbe avvenire anche nel settore dell’energia “intorno alla grande forza di Acea, di Enel, di Eni e delle altre grandi aziende che si trovano a Roma”. O ancora l’aerospazio a proposito del quale la capitale già eccelle: “Ci sono Leonardo, Avio, Elettronica e un’enorme filiera veramente di scala globale. Tecnologia all’avanguardia e tutta completamente italiana”. Ecco – si è domandato Simoni – “quale politica urbanistica è stata fatta nel tempo per sostenere queste eccellenze?”.

Quindi – ha rimarcato ancora – “l’ecosistema come luogo fisico al quale prestare particolare attenzione”. Ma in che senso? “Vuol dire che bisogna mettere in campo politiche urbanistiche per favorire l’aggregazione di aziende, enti di formazione e istituti di ricerca specializzati su quel determinato tema”. E poi il resto viene man mano, da sé: “È fondamentale però che ognuno di questi soggetti sia dotato di grande autonomia e di una missione molto molto specifica”. Solo sulla base di queste condizioni sarà poi possibile chiedere, e ottenere, investimenti pubblici da parte del governo: “Spesso sento dire che su Roma sono completamente mancato, ma la verità è che la città eterna le risorse le ha chieste solo di rado”. Ovvero, non ha lavorato a progetti innovativi meritevoli di ricevere finanziamenti nazionali: “Quanti progetti nuovi sono stati realizzati a Roma negli scorsi 10 anni? 10 anni! Non me ne viene in mente neppure uno”.

Un’assenza di progettualità particolarmente visibile, ad esempio, nel caso dell’ex Fiera di Roma che sorge sulla via Cristoforo Colombo: “Sono 15 anni che è abbandonata, eppure si trova in un’area centrale, ben collegata e, dal punto di vista tecnico, non così difficile da rinnovare. A mancare, dunque, sono le idee”. Ossia i progetti. “Che cosa vogliamo fare in quel determinato quartiere? Vogliamo dare vita a un grande polo artistico e museale? Oppure a un ecosistema che insiste sulla tecnologia? Dobbiamo tornare a partire dai contenuti”. Senza inventarsi grandi novità ma guardando “alle forze che già esistono nella città e ai settori in cui Roma risulta essere già strutturata”.  Il momento è adesso.

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