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La questione territoriale e la sfida del Pnrr. La bussola del prof. Caravita

Di Beniamino Caravita di Toritto
Caravita

Nel giorno della camera ardente che si tiene alla Sapienza Università di Roma, Formiche.net pubblica un estratto dall’ultimo saggio del professor Beniamino Caravita di Toritto, deceduto ieri a causa di una grave malattia. Il contributo è contenuto nel libro dal titolo “Il Pnrr alla prova del sud” curato dal prof Caravita insieme al direttore della Svimez Luca Bianchi ed edito da Editoriale Scientifica

Partiamo dalla distribuzione territoriale, che, in un Paese come l’Italia, spezzato dalla mai superata frattura storica fra Nord, Centro e Sud, rimane sempre cruciale (la Germania, dopo la riunificazione, è riuscita a far assumere nei Trattati europei il superamento della frattura Est-Ovest come obiettivo europeo). E chi scrive non è stato difficile profeta, quando, in qualche precedente intervento giornalistico, ha evidenziato il tema delle rivendicazioni territoriali come uno dei principali pericoli di questa fase politica. Ma non vi è dubbio che, nonostante lo storico impegno – di rango costituzionale, politico, economico – anche gli ultimi dieci anni hanno visto crescere il divario economico del Mezzogiorno.

Per quanto riguarda il Mezzogiorno, il PNRR ha già fissato una quota necessariamente destinata al Sud, pari a 82 miliardi (il 40% delle risorse territorializzabili del Piano e del Fondo complementare). Da alcuni settori si sono levate preoccupazioni che questa quota potrebbe poi non essere raggiunta a causa della concreta allocazione delle risorse, sollevando la confusione teorica che potrebbe insorgere sulla base della vecchia teoria dello sviluppo del Nord come locomotiva del Sud. Teoria sbagliata, non v’è dubbio. Il Sud ha bisogno di investimenti in loco, mirati, coordinati a livello nazionale, ma in loco. Solo per fare un esempio, non basta la Milano-Napoli, occorre la Napoli-Reggio Calabria (se non Palermo!) o la Napoli-Lecce; non basta l’industria al Nord, per attirare personale del Sud (anzi questa logica è deleteria perché depaupera il Sud delle sue forze e delle sue intelligenze!), occorrono investimenti diretti coerenti con le possibili logiche di sviluppo meridionale (infrastrutture fisiche e digitali, formazione, turismo, trasporti, agricoltura, sanità, recupero aree dismesse, ecc.). I Ministri maggiormente interessati hanno smentito questo rischio. Ma su questi punti SVIMEZ e la Fondazione interuniversitaria di cui sono Presidente (Formap, che raccoglie Federico II di Napoli, Sapienza di Roma, Palermo, Università della Calabria, Foggia), sono pronti a mettere a disposizione le loro forze e le loro intelligenze per partecipare ad una attività di monitoraggio e di progettazione. Ma, come aleggia in molti contributi di questo libro, il tema vero non è quello del punto percentuale in più o in meno che sarà concretamente “territorializzato” al Sud, ma sarà – una volta individuati e definiti correttamente gli interventi da effettuare – quello della capacità di spesa delle istituzioni locali meridionali, tanto che riemerge fra le righe l’idea di rivitalizzare esperienze – ai tempi fortunate – come quelle di agenzie ad hoc, peraltro oggi in qualche modo “ri”legittimate dalla recente sentenza n. 168 del 2021 della Corte costituzionale, che, nel chiarire “la connotazione costituzionale del potere sostitutivo di cui all’art. 120, secondo comma, Cost.” ne sancisce la giustificazione “solo in quanto l’intervento statale sia tale da garantire le esigenze unitarie della Repubblica compromesse invece dalla realtà istituzionale sostituita e, dall’altro, si caratterizza per una necessaria temporaneità e cedevolezza dell’intervento sostitutivo, dato il valore che l’ordinamento continua a riconoscere, come detto, alla potenzialità del principio autonomistico”. Ne dobbiamo parlare, dati alla mano, senza egoismi territoriali, in un’ottica di tutela degli interessi nazionali in ambito europeo.

È ripartito anche il treno del regionalismo differenziato. Dietro c’è un dibattito teorico importante sull’asimmetria nei modelli regionali e federali; c’è una disposizione costituzionale; ci sono due importanti referendum in due grandi Regioni (Lombardia e Veneto) e la richiesta formalizzata di un’altra importante Regione del Centro-Nord (Emilia-Romagna); preaccordi già stipulati; un significativo (anche se non sempre ben coordinato) lavorio amministrativo. Nonostante gli errori, non tutto è da buttare, lavorando in un ottica di interesse nazionale, con i due obiettivi prioritari di un effettivo contributo alla semplificazione amministrativa e alla riduzione complessiva della spesa. Vale quanto affermato da Confindustria secondo cui “logiche aprioristiche di accentramento/decentramento della spesa come quelle che sembrano emergere anche dal dibattito sulla cd. ‘autonomia differenziata’, vanno quindi superate e basate su principi di equità, efficienza ed efficacia. Privare il Mezzogiorno di risorse non utilizzate non ha senso ed è dannoso e perverso; ha senso invece riallocare queste risorse nel Mezzogiorno, spingendo così ad una maggiore competizione tra Regioni ed Enti locali del Mezzogiorno per disincentivare le inerzie e tra queste e le Amministrazioni centrali che possono investire nel Mezzogiorno”. Il tema, specie in una fase in cui il problema è spendere bene, non è quello di spostare risorse.

Anche per Roma Capitale, questione su cui sta lavorando un Centro di ricerca interuniversitario di recente istituzione tra Sapienza Università di Roma, Tor Vergata, Roma3, “Idee per Roma”, c’è un problema di risorse. Roma ha diritto ad ottenere risorse nazionali per le funzioni gravose che svolge come Capitale della Repubblica, come sede delle istituzioni nazionali. Il tema – avviluppato nella ricorrente polemica, prima, della “Capitale corrotta, nazione infetta”, poi negli anni ’70 degli uffici giudiziari romani come “porto delle nebbie”, pronti a coprire ogni malefatta politica, poi di “Roma ladrona”, poi ancora della “casta”, annidata naturalmente a Roma, infine di “Mafia Capitale” – è stato sempre sottovalutato, mai trattato con la dovuta attenzione; poca progettualità, forte permeabilità ad interessi non leciti, sviluppo urbanistico disordinato, classi dirigenti non sempre all’altezza hanno fatto il resto.

Il tema delle risorse per Roma, dunque, esiste. Ma, anche qui, diciamoci la verità: i problemi principali sono di ordine progettuale, politico, amministrativo. Il primo risiede nella scarsissima progettualità con cui le classi dirigenti hanno quasi sempre affrontato negli ultimi sessant’anni il tema Roma, città che per la sua storia, la sua collocazione, la sua capacità attrattiva nel mondo pretende – come chiedeva il grande storico tedesco Theodor Mommsen dopo il trasferimento della Capitale a Roma – sempre qualcosa di extra ordinem. Il secondo problema deriva dalla permanente indecisione circa la effettiva collocazione territoriale dei poteri di Roma Capitale, se a livello del tradizionale comune di Roma, ovvero se a livello della vecchia provincia trasformata in una impotente – ma dal nome altisonante – Città metropolitana. Il terzo è collegato alla stabile (e ancor più grave in ragione della presenza di norme costituzionali che lo imporrebbero) ritrosia italiana a differenziare gli statuti delle grandi città rispetto agli altri comuni, ritrosia che per Roma si accompagna a quel sentimento negativo, aggravando ancora di più la discussione, anche in relazione ad un assetto territoriale che nel caso del Lazio è totalmente sbilanciato. Proprio da queste indecisioni derivano gravi difficoltà amministrative e di gestione della città (basti ricordare che Roma ha quindici municipi, che – se fossero città autonome – si collocherebbero tra le trenta città più grandi di Italia, ma in realtà sono privi di poteri, risorse, funzioni, impossibilitati a gestire la più piccola questione). Il problema, dunque, non è (solo) il punto percentuale di risorse in più o in meno da destinare a Roma: la “quadra” si troverà; ma è la logica politica, progettuale, amministrativa, con cui affrontare la questione Roma: una volta individuata, l’intendance suivra, le truppe verranno dietro!

I tre aspetti (regionalismo differenziato, Mezzogiorno, Roma Capitale) si tengono insieme; non possono essere gestiti inseguendo egoismi territoriali; devono richiedere una visione unitaria dell’interesse nazionale, che è l’unica che ci può permettere di presentarci forti nella sede europea, luogo – come dice il nostro Presidente del Consiglio – di una rinnovata e più moderna sovranità, complementare a, e rafforzativa di, quelle nazionali, in un mondo, nonostante la pandemia, sempre più globalizzato e con leadership che non coincidono più con quelle delle tradizionali democrazie occidentali.

Tutto ciò richiede un patto politico, che deve basarsi su dati oggettivi e riscontrabili (che pur esistono e sono in larga misura a disposizione), trovare il consenso nel Paese e i voti in Parlamento: operazione non facile, nella attuale contingenza politica, tra voto amministrativo in autunno e elezioni del Capo dello Stato in inverno. Abbiamo bisogno di un ennesimo miracolo, individuale e collettivo. Ma, di nuovo, hic Rhodus, hic salta. E il governo Draghi va avanti fino a che il Parlamento lo sorregge con il voto di fiducia.

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