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Litio, la presa della Cina sulle miniere globali

Una recente analisi di Standard&Poor conferma: Pechino prosegue una strategia di acquisizioni e accordi per assicurarsi interessi nei depositi di litio (e non solo) più promettenti a livello mondiale. Dai costruttori di auto ai produttori di batterie. Un trend che preoccupa

La Cina sta espandendo aggressivamente la sua presenza e influenza sul mercato globale del litio, in una congiuntura che vede acuirsi anche il gap tra i produttori di batterie e che vede consolidarsi i colossi cinesi come Byd e Catl a discapito della concorrenza. Secondo gli ultimi dati della General Administration of Customs, le esportazioni di batterie elettriche dalla Cina sono cresciute del 58.9% nei primi sette mesi del 2023.

A confermare un trend ormai consolidatosi negli ultimi anni, un report di Standard & Poor (S&P) uscito nei giorni scorsi che segue una recente analisi sull’impatto dell’Inflation Reduction Act (Ira) nella potenziale diversificazione della geografia delle forniture per gli Usa.

Attraverso investimenti strategici e accordi di fornitura a lungo termine, le aziende cinesi, da quelle attive nel settore minerario fino ai grandi colossi delle batterie e dell’auto (Oems), si stanno assicurando le forniture di metalli per le industrie high-tech, principalmente per le batterie.

Secondo il report, quasi metà delle principali miniere di litio a livello globale affacciatesi, a diversi stadi di sviluppo, sul mercato dal 2018 sono state acquisite da compagnie cinesi, segnalando ancor di più la forte presa della Cina in questo settore.

Il litio, di cui la Cina è principale importatore, consumatore a livello mondiale, specialmente il concentrato di litio dai paesi sudamericani come Cile e Argentina e lo spodumene roccioso dall’Australia, è un ingrediente essenziale per le batterie utilizzate nei dispositivi elettronici, nei veicoli elettrici (Ev) oltre ad essere utilizzato come materiale per lo studio del supercomputing. Le aziende cinesi, come Catl e Byd, prediligono la manifattura di batterie al litio-ferro-fosfato, più convenienti dal momento che utilizzano materiali meno cari (nichel e cobalto) rispetto alle concorrenti. Questa scelta, dettata anche dalle preferenze del mercato domestico cinese, insieme all’economia di scala e a un decennio di R&D ha permesso di costruire un vantaggio competitivo per gli Ev cinesi. Di recente, il colosso Catl ha lanciato una nuova batteria LFP con l’obiettivo di consolidare il suo dominio commerciale.

Dal momento che la Cina non dispone di giacimenti di litio di qualità per soddisfare le sue esigenze industriali (dettate principalmente dai battery makers, che richiedono materiali precursori, come l’idrossido di litio, di qualità e purezza molto stringenti per la manifattura dei catodi), seppur ne produca all’incirca il 10% a livello globale, Pechino e le sue aziende di punta guardano ai depositi esteri, specialmente quelli più promettenti. Per salvaguardare i propri margini di profitto (con i costi delle materie prime che ormai contano per circa il 60-70% della produzione di batterie), le aziende cinesi hanno dispiegato una strategia di integrazione verticale del proprio business, dalle miniere alle batterie.

Le aziende cinesi, infatti, hanno acquisito importanti interessi commerciali (tramite finanziamenti equity, accordi a lungo termine e joint ventures) su circa 10 delle 20 miniere analizzate da S&P, per un totale circa di 12.3 miliardi di dollari. Molto distanti, le aziende australiane sono le seconde per il volume di affari, con 5 miniere acquisite negli ultimi cinque anni, per un totale di circa (e, aggiungiamo, soli) 100 milioni di dollari. Un gap, quello degli investimenti nel segmento upstream, ovvero minerario, della supply chain delle batterie al litio che dimostra, nonostante alcuni recenti annunci di grandi produttori come Tesla o Stellantis, la mancanza di pragmaticità e lungimiranza delle case automobilistiche occidentali nell’ultimo decennio.

“In particolare, le imprese con una bassa penetrazione di veicoli elettrici e con progressi più lenti nell’elettrificazione – come quelle europee o americane, seppur il report vi faccia riferimento diretto – tendono a privilegiare e a dare la priorità all’aumento della competitività dei prodotti e alla crescita dei volumi di vendita. Per queste imprese, l’approvvigionamento di materie prime è spesso di secondaria importanza.”

Al contrario, i produttori di auto cinesi come Byd, Great Wall Motors e i produttori di batterie come Catl, Eve e Gotion High-Tech, spinti anche dal rally dei prezzi che ha caratterizzato il litio e il nichel nell’ultimo biennio, sono stati portati a rafforzare le forniture con un controllo sulla filiera, assicurandosi 23 equity stakes (interessi) in aziende minierarie che operano su litio, nichel e cobalto. La domanda di queste risorse critiche, infatti, è destinata ad aumentare considerevolmente negli scenari dell’International Energy Agency (IEA), specialmente con la crescita del mercato Ev oltre che degli accumuli energetici domestici (Ess). L’offerta, al contrario, potrebbe rimanere molto incerta soprattutto per la carenza di investimenti e le tempistiche lunghe che caratterizzano il settore minerario.

Assicurarsi, dunque, le forniture rappresenta una strategia di hedging contro future, e possibili, carenze sul mercato. I vantaggi di questa strategia sono stati dimostrati da Byd, che è stata più aggressiva nell’espansione a monte della filiera rispetto alle concorrenti straniere. Essendo un produttore di veicoli elettrici “puro”, l’azienda è stata più esposta ai prezzi del litio rispetto ai produttori Oem tradizionali come Volkswagen, Toyota o General Motors. Tuttavia, è riuscita a mantenere i margini lordi del suo segmento auto (batterie incluse) al 20.4% nel 2022, secondo i calcoli S&P, nonostante il raddoppio dei prezzi del carbonato di litio.

Metà delle miniere di litio su cui la Cina ha messo le mani dal 2018 sono localizzate in Australia e Canada, mentre le altre cinque sono divise tra Argentina, Repubblica Democratica del Congo e Zimbabwe. L’Australia domina attualmente l’estrazione dell’oro bianco, con circa il 47% dell’output di litio carbonato equivalente (Lce) nel 2022, seguita dal Cile al 26%. Il 90% del litio estratto in Australia viene infatti, come ricordato pocanzi, esportato in Cina per la fase di raffinazione con le industrie cinesi che contano per il 67% dello share di mercato per il litio raffinato nel 2022. Di recente, il governo australiano attraverso le parole del suo primo Ministro, ha esortato l’UE a siglare un accordo di libero scambio per facilitare gli investimenti europei nel settore, che vede già una concorrenza agguerrita.

Tra le aziende cinesi più attive, parliamo di Ganfeng Lithium e Tianqi Lithium che hanno, rispettivamente, rivolto il loro sguardo su Cile, Argentina (la prima) e Australia la seconda. Tuttavia, questi due produttori di litio (che il mercato classifica come majors in qualità della loro expertise nella trasformazione del litio “grezzo” in litio battery grade) stanno diversificando il loro portfolio di investimenti nel settore delle materie prime critiche. La Cina è, inoltre, molto attiva nello sviluppo congiunto degli impianti di raffinazione di nichel in Indonesia: l’aumento della produzione indonesiana, infatti, alimenterà ulteriormente la crescita dell’industria cinese delle batterie e dei veicoli elettrici, dato che la Cina è il principale acquirente di nichel dell’Indonesia . Tra il 2017 e il 2021, la Cina ha rappresentato il 90% delle esportazioni di nichel dell’Indonesia. Nel 2022, questa percentuale percentuale è salita al 97%.

Zijin Mining Group, che in passato aveva investito nella miniera di rame di Kolwezi in Congo, ha acquistato partecipazioni di controllo in due progetti di litio in Cina e ha completato l’acquisizione del deposito di Tres Quebradas in Argentina. Come detto, Ganfeng sta espandendo la sua presenza in Argentina, ma anche in Cina, Mali e Messico. Byd sta cercando di investire in progetti di litio in Cile, Argentina e Africa. Proprio il continente africano è tornato ad essere al centro della competizione sulle risorse, con il Giappone che è tra i paesi del G7 più attivi e pragmatici, seppur l’influenza cinese sia ancor più profonda.

Catl è a capo di un consorzio industriale che investirà 1,4 miliardi di dollari in Bolivia per costruire impianti di estrazione del litio e aiutare così il paese, che dispone delle risorse di litio più consistenti a livello mondiale, ad entrare in questo difficile mercato.

Il caso argentino è esplicativo della volontà della Cina di penetrare nei mercati emergenti. Il paese sudamericano, nonostante disponga della maggior parte di riserve e risorse di litio tra i paesi del cosidetto “Triangolo”, è rimasto a lungo dietro a Cile e Australia nella produzione globale. Tuttavia, proprio a seguito degli importanti flussi d’investimento privati (soprattutto cinesi: Zijin e Ganfeng pianificano di generare quasi tre miliardi di dollari nei prossimi tre anni per aumentare la produzione nelle salamoie argentine), la produzione di litio in Argentina potrebbe espandersi tra 200.000 Mt e 250.000 Mt entro la fine del 2025, passando così dal 4.6 al 15% dello share mondiale.

 Tuttavia, la strada per il dominio globale non è esente da difficoltà anche per la Cina. La crescente rilevanza delle materie prime per i paesi del G7, di fronte alle tensioni internazionali tra Washington e Pechino intorno semiconduttori e tecnologie critiche e alla necessità di diversificare le forniture, rende i flussi d’investimento un punto di presidio per la sicurezza nazionale. Lo dimostrano le difficoltà che le aziende cinesi hanno incontrato in paesi tradizionalmente liberali e a vocazione mineraria come Australia e Canada nell’ultimo anno. Attraverso un maggior scrutinio e restrizioni richieste dovute ad una nuova politica sugli investimenti esteri diretti (Fdi), i due governi hanno escluso partecipazioni cinesi in progetti su litio e terre rare.

Il governo cinese è consapevole di questo contesto, in cui la geopolitica potrebbe diventare un elemento di freno all’espansione della Cina anche nei mercati emergenti qualora dovesse prendere piede il fenomeno del “nazionalismo delle risorse” con maggiori restrizioni e controlli sulle esportazioni, oltre alla ritrosia ad accettare investimenti esteri. Eppure, in molti di questi paesi la mancanza di capitale estero, di infrastrutture e conoscenze tecniche rendono complesso valorizzare il patrimonio geologico. E questo Pechino lo ha compreso da diverso tempo.

Nell’ultimo Congresso Nazionale del Popolo, durante l’assemblea tenutasi nel marzo del 2023 il presidente di Ganfeng, Li Liangbin, e il chairman di Chery Automobile, Yin Tongyue (entrambi membri del Congresso) hanno chiesto maggiore sostegno alle autorità governative per supportare i piano delle aziende di espansione all’estero per assicurarsi le forniture di minerali e metalli, oltre ad inserire litio, nichel e cobalto nella lista di risorse strategiche nazionali.

L’allineamento tra le strategie aziendali e gli interessi del governo cinese, a differenza della più confusa e al momento carente (in termini di investimenti diretti) politica degli approvvigionamenti europea, indicano che la Cina è posizionata per espandere ulteriormente la sua influenza sulle materie prime critiche e le industrie high-tech su cui fanno affidamento.


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