L’amministrazione Biden ha annunciato di voler avviare un’analisi dei rischi per la sicurezza nazionale dei veicoli elettrici e autonomi. Seguirà una call pubblica per raccogliere informazioni e procedere, eventualmente, con un ordine esecutivo ad hoc. Ecco alcuni dei potenziali pericoli…
Gli Stati Uniti, secondo una nota della Casa Bianca rilasciata nella giornata di ieri, inizieranno un’indagine approfondita sui rischi per la sicurezza nazionale dei veicoli elettrici (EV) e autonomi. Si tratta di un’iniziativa diversa rispetto a quella avanzata con l’Executive Order del 2021, quando il presidente Biden aveva ordinato una revisione attenta e viscerale delle supply chain di tecnologie critiche come batterie e semiconduttori.
In questo caso, il focus sarà sui rischi – prevalentemente riguardanti l’ambito cyber e della sicurezza dei dati – di un’eccessiva e non governata penetrazione di veicoli autonomi fabbricati in tutto o in parte dalle industrie cinesi o con l’utilizzo di componenti elettronici che possano compromettere la cybersicurezza degli Usa. Alla base di quest’iniziativa, vi è la consapevolezza tra gli apparati americani (tra cui, in prima linea, del Bureau of Industry and Security) della teoria della fusione tra ambito civile e militare dell’industria tecnologica della Repubblica Popolare Cinese, come è emerso soprattutto nella “guerra” dei semiconduttori per l’IA.
Joe Biden ha dunque incaricato il segretario al Dipartimento del Commercio, Gina Raimondo, di procedere con l’indagine per raccogliere informazioni ed evidenze che possano corroborare la necessità di procedere con un ordine esecutivo per tutelare la sicurezza di cittadini, consumatori e degli interessi nazionale degli Stati Uniti. “Oggigiorno la maggior parte delle auto è “connessa”: sono come smartphone su ruote” si legge nella nota. “Queste auto sono connesse ai nostri telefoni, ai sistemi di navigazione, alle infrastrutture critiche e alle aziende che le hanno prodotte. I veicoli connessi provenienti dalla Cina potrebbero raccogliere dati sensibili sui nostri cittadini e sulle nostre infrastrutture e inviarli alla Repubblica Popolare Cinese”.
I veicoli elettrici contengono una moltitudine di sensori (principalmente microcontrollori, oltre a chip specifici per la gestione dei software integrati nel veicolo: non è un caso che la Cina stia rafforzando le capacità produttive in questo segmento) che, secondo i funzionari americani, potrebbero aiutare i servizi segreti cinesi a raccogliere dati intorno a infrastrutture sensibili degli Stati Uniti, come le installazioni militari. Nei veicoli autonomi (AV), i semiconduttori facilitano il funzionamento dei sensori, nonché l’elaborazione dei dati rilevati: secondo alcune stime della US International Trade Commission, un veicolo completamente autonomo può richiedere fino a 3.500 semiconduttori per unità.
“Non ci vuole molta immaginazione per pensare a come un governo straniero con accesso ai veicoli connessi possa rappresentare un serio rischio sia per la nostra sicurezza nazionale che per la privacy dei cittadini statunitensi”, ha dichiarato Raimondo in un comunicato stampa del Dipartimento. “Abbiamo bisogno di capire la portata della tecnologia presente in queste auto che può catturare ampie fasce di dati o disabilitare o manipolare a distanza i veicoli connessi, quindi stiamo sollecitando informazioni per determinare se intervenire nell’ambito delle nostre autorità”. Tra cui, l’Ufficio per l’Information and Communications Technology and Services (ICTS) che si occupa, tra le altre cose, di cybersicurezza lungo le filiere industriali.
La questione emerge in un momento cruciale nel processo di transizione verso i veicoli elettrici, un’industria sulla quale la stessa amministrazione ha deciso di puntare con forza per rilanciare la rincorsa delle grandi case automobilistiche nordamericane, come Ford, General Motors e scommettendo anche sulla leadership di Tesla. Difendere l’ecosistema automobilistico americano è infatti essenziale, dal momento che genera circa 1 trilione di dollari per l’economia statunitense, quasi il 5% del PIL, responsabile di circa 9,6 milioni di posti di lavoro e di $105 miliardi di esportazioni secondo i dati dell’Alliance for Automotive Innovation (AAI).
Grazie agli incentivi generosi previsti dall’Inflation Reduction Act (IRA), sono state gettate le basi per costruire una supply chain più integrata – dalle miniere fino alla produzione di componenti per batterie passando per la raffinazione di litio, nichel, cobalto e grafite – seppur rimangano alcune difficoltà di svincolarsi completamente dalla Cina e dall’ecosistema di fornitori che gravita in Asia. Nei quasi due anni dall’entrata in vigore dell’IRA, sono stati annunciati oltre $80 miliardi di investimenti privati, per circa 90 progetti e circa 54.000 posti di lavoro: poco più di 1 TWh di capacità di produzione di batterie ora è stimata negli Stati Uniti entro il 2030. In questo contesto – e in compliance con le clausole anti-Pechino dell’IRA – molti auomakers americani come General Motors e Tesla hanno iniziato ad stringere accordi di fornitura a lungo termine, cercando partnership con aziende consolidate.
Ma il pericolo che i colossi dell’elettrico cinese, come BYD, Geely e Nio fortemente integrati nell’ecosistema delle batterie cinesi, oltre che con un decennio di vantaggio sulla tecnologia dominante (le batterie al litio) possa fare breccia sul mercato americano (al pari di quello europeo) non è da sottovalutare. “Le politiche della Cina potrebbero inondare il nostro mercato con i suoi veicoli, mettendo a rischio la nostra sicurezza nazionale. Non permetterò che questo accada sotto il mio controllo” ha affermato Biden.
In realtà, i dati al momento dimostrano come lo tsunami elettrico cinese per ora non abbia ancora lambito in maniera consistente le coste americane. Nel 2023, le esportazioni complessive di BEV della Cina sono aumentate del 70%, raggiungendo i 34,1 miliardi di dollari con l’Unione europea principale destinatario delle esportazioni cinesi avendo totalizzato quasi il 40% secondo i dati raccolti dall’Atlantic Council. Nell’emisfero occidentale, le esportazioni cinesi di BEV in Messico sono risultate minori, per un totale di soli 257 milioni di dollari nel 2023, meno del Canada, che ha importato 1,6 miliardi di dollari nello stesso periodo. L’attenzione verso il vicinato statunitense è particolarmente rilevante, considerando che la Cina non ha nascosto la volontà di provare a bypassare i vincoli stringenti dell’IRA puntando al focus di quest’ultimo sul friend-shoring.
In generale, i veicoli elettrici di produzione cinese non hanno avuto un ruolo significativo nel mercato statunitense, almeno non ancora. Nel 2023 la Cina ha esportato direttamente negli Stati Uniti solo 368 milioni di dollari di BEV. Al contrario, le case automobilistiche europee (tra cui Stellantis, Mercedes e Volkswagen) ha esportato quasi 7,4 miliardi di dollari negli Stati Uniti nello stesso anno, secondo i dati commerciali ufficiali degli Stati Uniti. Scudo significativo, in questo senso, è il predominio di Tesla: nel quarto trimestre del 2023, Tesla ha rappresentato il 56% di tutte le vendite di BEV nel Paese, con la Model Y che ha rappresentato di gran lunga il modello più in voga. Da un punto di vista di sicurezza delle infrastrutture, il network dei centri di ricarica gestiti da Tesla sono diventati standard anche per altri brand automotive dopo l’apertura di Elon Musk. Dunque, da questo punto di vista Tesla potrebbe rappresentare una doppia garanzia, soprattutto dopo le dichiarazioni di Musk sulla fortissima competizione dei colossi cinesi. Di recente Tesla ha annunciato un accordo con Tsmc, principale produttore mondiale, per lo sviluppo dei microprocessori per il suo sistema di guida autonoma (FSD), ma rimane fortemente sovraesposta anche sulla Cina per l’integrazione delle batterie nei suoi veicoli.
Attualmente gli Stati Uniti non importano BEV cinesi su larga scala, dal momento che vige un regime tariffario stringente, con il 27,5% imposte sulle auto prodotte in Cina, oltre ad altre restrizioni che sono state previste per usufruire degli incentivi federali dell’IRA. Tuttavia, queste misure protezionistiche potrebbero non impedire alle auto cinesi di raggiungere gli Stati Uniti. Questo perché la scala ormai raggiunta dalle industrie delle batterie cinesi, con l’abbattimento dei prezzi di oltre il 50% annunciato da Catl, e dai volumi di vendita di veicoli elettrici in Cina, che comunque rimangono più solidi rispetto ad USA e UE, consentono di poter sacrificare i margini di profitti ma restando comunque ampiamente competitivi sui prezzi finali. La stessa Catl è finita nel mirino di senatori repubblicani per la sua partnership con Ford per la costruzione, in joint venture, di una gigafactory nel Michigan proprio per le sue connessioni, in particolare del suo fondatore e presidente, Robin Zeng, con il governo cinese.
Comunque, l’iniziativa presidenziale registra una preoccupazione crescente all’interno dell’amministrazione, su un tema che potrebbe sopravvivere anche ad un’eventuale vincita del candidato repubblicano, Donald Trump. Quello che non cambierà, sarà la necessaria collaborazione con gli automakers come richiesto dall’AAI, associazione che rappresenta General Motors, Toyota, Volkswagen e in generale tutti principali produttori, al Dipartimento del Commercio prima di intraprendere qualsiasi iniziativa in un ambito di fortissima innovazione tecnologica. La lobby ha appoggiato l’iniziativa del Dipartimento ma ha specificato di non “prendere di mira transazioni a basso rischio che potrebbero compromettere nel breve periodo l’adozione di tecnologie avanzate per la sicurezza dei veicoli”.
E che porta a riflettere sulla progressiva compenetrazione tra digitale e mobilità. Secondo alcuni esperti, negli Stati Uniti manca un approccio olistico alla sicurezza dei dati in ambito di legislazione federale, come dimostrato nel caso TikTok, mentre alcune normative si sovrappongono a quelle esistenti, in particolare quelle previste nell’ambito del Committee for Foreign Investment in the United States (CFIUS) per regolare gli investimenti di persone o entità coperte in aziende statunitensi che raccolgono dati sensibili, una classe di transazioni tipicamente gestita dal Comitato.
Tra i rischi per la sicurezza dei dati con la progressiva penetrazione dei veicoli a batteria si annoverano: le stazioni di ricarica e i sistemi di gestione delle batterie raccolgono grandi quantità di dati, tra cui il comportamento e le preferenze degli utenti, le informazioni sui veicoli e i modelli di consumo energetico; la vulnerabilità delle infrastrutture critiche, dal momento che l’integrazione di sistemi a batteria sviluppati da Catl e integrati nella rete elettrica degli Stati Uniti (per questo Dominion Energy, utility americana, ha deciso di non proseguire la partnership con l’azienda cinese) potrebbe porre un rischio simile a quello di Huawei e ZTE con 5G e telecomunicazioni su sorveglianza e backdoor; e rischi sulla supply chain, non nuovi e che riguardano il dominio specifico di Catl e Byd dell’industria e della filiera delle batterie fino ai materiali critici.
A novembre scorso, un gruppo bipartisan del Congresso ha posto l’attenzione sui rischi di raccolta illecita di dati delle compagnie cinesi che svolgono test di guida autonoma nel paese. Al momento, stanno già circolando iniziative che darebbero al Dipartimento del Commercio l’autorità necessaria ad intraprendere un’azione decisa contro queste ed altre iniziative che includono la gestione e trasferimento di dati statunitensi. La prima, la legge RESTRICT Act, conferirebbe a Gina Raimondo (o, eventualmente, al suo successore repubblicano) il potere di vietare tali transazioni tra persone giuridiche statunitensi ed entità straniere. Il secondo sforzo legislativo, il GUARD Act, è guidato dalla presidente del Senato per il Commercio Maria Cantwell (D-Wash.) e adotterebbe un approccio più ristretto per conferire poteri al Dipartimento del Commercio.
In generale, la competizione posta dalle auto elettriche cinesi è un aspetto che riguarda molto da vicino le relazioni transatlantiche e che richiederà una forte collaborazione tra Washington e Bruxelles nelle sedi opportune, come il Trade and Technology Council. Soprattutto ora che gli Stati Uniti hanno sollevato un’altra, importante questione e che va oltre (o, meglio, si sovrappone) quella meramente commerciale, industriale in un’ottica di elettrificazione della flotta automotive su cui la Commissione europea ha già deciso di indagare. Rimane tuttavia da vedere come si strutturerà l’iniziativa del Dipartimento del Commercio Usa, e se andrà ad impattare l’industria dei veicoli elettrici nascente in toto o se verranno prese misure specifiche per i veicoli a guida autonoma.