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La Cina critica il de-risking ma proibisce i microchip americani

In una mossa che segna un’ulteriore escalation, Pechino ha deciso di vietare l’utilizzo di microchip di Intel e Amd nei dispositivi e infrastrutture del governo cinese. Un segnale di ulteriore decoupling tra le due superpotenze, in un settore ritenuto sensibile per la sicurezza…

La Cina ha introdotto alcune linee guida per vietare l’utilizzo di microprocessori concepiti da aziende americane, come Amd e Intel, nei computer e nei server cinesi. A rivelarlo è il Financial Times, in una ricostruzione che ripercorre le tappe che hanno portato Pechino negli ultimi anni a cercare di svincolare il Paese dall’utilizzo di tecnologia di matrice americana e occidentale.

Le nuove misure bloccheranno, inoltre, Microsoft Windows e altri prodotti per database di origine occidentale in favore di soluzioni domestiche: un ulteriore passo verso il progressivo scollamento tecnologico e digitale tra Stati Uniti e Repubblica Popolare Cinese. Secondo le direttive del China’s Information Security Evaluation Center, le agenzie governative dovranno fare affidamento su rimpiazzi “sicuri e affidabili” concepiti da aziende domestiche, in una lista che include 18 microprocessori approvati tra cui quelli realizzati da Huawei e dall’azienda statale Phytium (entrambe inserite, invece, nella Entity List del Dipartimento del Commercio statunitense). Le azioni di Intel e Amd sono intanto scese rispettivamente dello 2.5% e del 2.3%.

Le regole, in realtà, erano state approvate e introdotte nel dicembre dello scorso anno dal ministero per l’Industria e le Tecnologia per l’Informazione (MIIT), e potrebbero avere un impatto significativo sui bilanci delle due aziende prese di mira. La Cina, infatti, ha contato per il 27% delle vendite di Intel (ammontate a $54 miliardi) nel 2023 (da segnalare, comunque, che la Cina era il primo mercato nel 2021, poi superato da quello statunitense) e per il 15% di Amd ($23 miliardi), per quest’ultima terzo mercato di riferimento dopo USA e Giappone. Le due aziende sono inoltre in competizione sui mercati globali per la vendita di microprocessori (CPUs) utilizzati nei PC e laptop, e su cui le due aziende vantano una posizione dominante grazie soprattutto all’architettura proprietaria x86 (proprio per superare questo monopolio, Pechino sta cercando di stimolare le sue aziende a ricorrere all’architettura open-source RISC-V). Tuttavia, di recente le due aziende si sono scontrate per una serie di licenze per l’export garantite dal governo americano all’azienda guidata da Pat Gelsinger per le vendite in Cina, a svantaggio della rivale. Intel ha di recente ottenuto dal Dipartimento del Commercio oltre $8 miliardi di incentivi e sussidi per la costruzione di una fab avanzata in Arizona.

Con le nuove restrizioni anche da parte del governo cinese, le due aziende ora si trovano tra due fuochi in un contesto di crescenti tensioni geopolitiche e tecnologiche. In realtà, non si tratta solamente di una risposta alla politica commerciale americana nei settori high-tech. Questi mandati sono stati presentati per la prima volta intorno al 2014 e sono stati riproposti nel maggio 2022, quando è stata avanzata una scadenza di due anni per portare a termine il lavoro. Inoltre, l’anno scorso Pechino aveva proibito alle aziende nazionali di utilizzare i chip sviluppati e realizzati da Micron, società americana, nelle infrastrutture critiche mentre alcune aziende di Stato hanno proibito ai propri dipendenti l’utilizzo di iPhones Apple, seppur l’azienda di Cupertino sia in dialogo con Baidu per l’utilizzo di tecnologia di IA generativa negli smartphone, in compliance con i requisiti posti dalle autorità cines. Al pari di Intel, Micron è un’azienda di semiconduttori integrata (IDM) mentre Amd, che rivaleggia anche con Nvidia sulle GPUs, si affida a produttori esterni come TSMC per la realizzazione dei suoi microprocessori. Per quanto riguarda lo sviluppo su larga scala di processori proprietari per computer da parte della Cina, il suo potenziale impatto sulle aziende di Taiwan che operano nel settore degli ASIC (application specific integrated circuit) sarà da valutare.

La mossa di Pechino è tra le più aggressive fino ad ora implementate, nell’ottica di realizzare il decoupling attraverso una strategia nazionale di autarchia tecnologica nei settori militari, governativi e statali nota come xinchuang o “innovazione delle applicazioni IT”. L’obiettivo di Xi Jinping, infatti, è quello di stimolare la creazione di un ecosistema cinese svincolato dalle supply chain e servizi occidentali – un percorso incentivato dall’offensiva americana sui chip (come le GPUs di Nvidia) e i macchinari avanzati (EUV e DUV di Asml e altre aziende statunitensi), nell’ottica di bloccare e contenere l’ascesa della Cina nelle tecnologie dual-use come l’intelligenza artificiale e il supercalcolo. Secondo alcune stime, Pechino vorrebbe completare la transizione dall’hardware americano entro il 2027.

Ma non sarà un processo semplice. Lin Qingyuan, esperto di chip presso il gruppo di ricerca Bernstein, ha affermato sulle pagine del Finacial Times che la sostituzione avverrà più rapidamente per i processori dei server rispetto a quelli dei PC, a causa dell’ecosistema software più limitato da sostituire. Secondo le sue previsioni, nel 2026 i server xinchuang rappresenteranno il 23% delle installazioni totali di server in Cina. Serviranno, inoltre, $91 miliardi circa di investimenti per rimpiazzare server e altre infrastrutture per gli organi del partito e gli otto conglomerati industriali controllati dallo Stato cinese. Alla fine dell’ultimo trimestre del 2023, sul mercato cinese sono stati venduti oltre 28 milioni di dispositivi (PC), con un mercato dominato dalla cinese Lenovo (38%), seguita da HP (11%), Huawei (9%) e Dell (9%) secondo i dati di Canalys. Quasi la metà del mercato in Cina è dunque catturato da aziende nazionali, ma si tratta comunque di stime commerciali e che non caratterizzano, probabilmente, il grado di adozione nei settori pubblici.

Tra i produttori di microprocessori su cui dovranno fare affidamento i clienti pubblici, Shanghai Zhaoxin Integrated Circuit Co (controllata in minoranza dalla taiwanese Via Technologies) Ltd, che possiede una licenza per produrre i microprocessori basati su architettura x86, seppur abbiano performance che sono decisamente inferiori rispetto ai peers sul mercato come lo Xeon di Intel e l’Epycs di Amd. La lista menzionata include anche personal computer e sistemi operativi che possono essere impiegati, tra cui il Galaxy Kirin Linux sviluppato dalla National University of Defence Technology, lo Tongxin OS, una variante sviluppata da UnionTech, produttore con sede a Shanghai e il Fangde OS, un altro operatore domestico Linux. Tra i database menzionati, il PolarDB di Alibaba e il TDSQL di Tencent.

La mossa del governo cinese, dunque, rappresenta non solo una diretta risposta alla decisione di Washington di restringere ancor di più il flusso di tecnologia e asset per la produzione avanzata di semiconduttori, ma la dimostrazione di come Pechino reputi essenziale portare avanti un disegno di completa sovranità tecnologica nei settori più sensibili per la sicurezza nazionale. Un aspetto che porterà molte aziende dell’ecosistema high-tech cinese a focalizzarsi sulle esigenze domestiche, in un vortice di isolazionismo tecnologico che avrà certamente riflessi sulle catene globali del valore nell’elettronica avanzata.

Questa spinta favorirà certamente aziende come Huawei e Loongsoon, oltre al campione nazionale dei chip SMIC, che stanno cercando di sviluppare le proprie soluzioni in-house per le CPUs. Con un mercato domestico più accessibile, in seguito all’esclusione delle aziende e concorrenti americane, è possibile che potranno utilizzare le entrate per rafforzare i propri bilanci e gli investimenti in R&D. Sarà invece molto complesso per Intel e Amd ottenere licenze dal governo cinese per la vendita dei loro prodotti, che richiederà di sviluppare microprocessori che siano in linea con i criteri di sicurezza del China’s Information Security Evaluation Center. “Potremmo dover affrontare una maggiore concorrenza a causa dei programmi cinesi di promozione dell’industria nazionale dei semiconduttori e delle catene di fornitura” si legge nel report annuale di Intel.

La Cina sta da tempo ricorrendo ad una forma di de-risking dall’Occidente, sussidiando le sue aziende più high-tech come dimostra anche l’ultimo, copioso round di investimenti nell’industria dei semiconduttori da parte del cosiddetto Big Fund. Rimane, invece, molto più complesso raggiungere la totale autonomia per quanto riguarda l’equipaggiamento per la produzione avanzata di chip. In questa direzione, in settimana il primo ministro olandese Mark Rutte inconterà Xi Jinping per discutere delle relazioni bilaterali tra i due paesi: sarà probabilmente affrontato anche il tema delle licenze per l’export dei macchinari di ASML su cui la Cina fa e farà affidamento per l’autonomia tech nel campo dei microchip avanzati e su cui pende il veto americano.


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