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Ecco perché i salari italiani sono al palo. Parla Morando

Le retribuzioni sono il riflesso della crescita e della produttività, oltre che di una buona contrattazione, soprattutto decentrata, e in Italia questi elementi sono troppo spesso venuti meno negli ultimi anni. Sul Superbonus il governo si è mosso troppo tardi. Colloquio con l’ex viceministro dell’Economia

C’è qualcosa che non funziona in Italia sul versante dei salari. Pochi giorni fa una tabellina dell’Ocse ha svelato come lo Stivale sia l’unico caso tra le grandi economie, in cui le retribuzioni sono diminuite negli ultimi 30 anni, mentre nel resto d’Europa sono aumentate. Meno 7,3% solo nel 2022 rispetto al 2021, anno in cui la crescita dei prezzi trainata dal rincaro dell’energia ha ridotto pesantemente il potere d’acquisto delle famiglie. Certo, la rincorsa salari-prezzi è da sempre il germe dell’inflazione, ma il problema c’è ed è storico, anche perché ci si perde in competitività e competenze. Come si spiega tutto questo, lo racconta a Formiche.net Enrico Morando, economista e già viceministro del Tesoro.

“La spiegazione della mancata crescita dei salari va ricercata nella bassa produttività del Paese. Se si guarda al suo andamento negli ultimi anni ci si accorgerà che è stata spesso stagnante. I salari possono reggere l’urto dell’inflazione se c’è un contesto di produttività crescente, che nel nostro Paese non c’è stata”, premette Morando. “Un’altra ragione è che i salari non sono tutti uguali, ci sono quelli dei lavoratori qualificati e quelli di chi un lavoro qualificato lo ha. Trovo abbastanza curioso il fatto che le retribuzioni in Italia che sono cresciute di meno, in rapporto agli altri Paesi, sono proprio quelle legate a un impiego qualificato: questo pone il tema della contrattazione”.

“Paghiamo un mancato sviluppo della contrattazione decentrata e così i salari dei lavoratori qualificati crescono poco, il che vuol dire che sono i profitti che invece crescono troppo. Nel nostro Paese una delle prime contromisure sarebbe proprio una sana redistribuzione tra lavoratori e imprese, tra profitti e stipendi”. Ma allora esistono davvero buoni contratti in Italia oppure no?

“Diciamo che c’è una contrattazione nazionale che pretende di coprire l’intero arco dei problemi mentre, come detto, manca lo sviluppo della contrattazione decentrata, quella dei territori, delle filiere, che farebbe la differenza. Vede, è vero che la produttività è rimasta al palo, ma ci sono comparti dove invece è cresciuta e anche lì i salari sono bassi rispetto ad altri Paesi. Va da sé quindi che ci sia un tema di contrattazione, in particolare decentrata, che è troppo debole. Alla fine, ne abbiamo di meno di buoni contratti rispetto ai nostri partner”.

Morando poi affronta la questione Superbonus e i tentativi del governo di contenere i suoi effetti nefasti sulle finanze pubbliche. “Temo che l’esecutivo si sia mosso tardi e in modo maldestro. I governi precedenti hanno responsabilità importanti, ma occorreva per tempo un provvedimento che fermasse il meccanismo. Vale l’esempio degli esecutivi Renzi e Gentiloni, quando tentammo il coinvolgimento delle grandi imprese energetiche per il risanamento e la riqualificazione dei condomini popolari. Questo non è stato fatto oggi e poteva fare la differenza”.

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