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Ecco il piano di Asml e Tsmc in caso di invasione di Taiwan

Secondo alcune ricostruzioni, l’azienda olandese sarebbe in grado di disattivare i macchinari avanzati per la produzione di chip da remoto. L’isola ne è la principale destinazione, dal momento che Tsmc è il più grande produttore e leader di mercato. Quali le preoccupazioni?

La prospettiva di un’invasione o di un blocco di Taiwan da parte della Repubblica Popolare Cinese è un’opzione che tiene americani ed europei in stato di costante apprensione. L’insediamento del nuovo presidente taiwanese coincide, tra le altre cose, con una crescente frustrazione da parte di Pechino su diversi fronti: dalla guerra commerciale con gli Stati Uniti, le dubbie posizioni dell’Unione europea e naturalmente il contenimento tecnologico americano sui chip.

In questo contesto, è dunque naturale che i diversi stakeholders di quest’industria incomincino ad immaginare quali potrebbero essere le conseguenze, e le azioni da intraprendere, nel worst case scenario. Le mobilitazioni militari della Cina in concomitanza con il discorso di William Lai Ching-te e il rifiuto generale di escludere un’invasione di Taiwan (che Pechino continua a riconoscere come parte del suo territorio nazionale) come soluzione alla divisione storica, culturale e politica nello Stretto non possono che alzare il livello di attenzione. A partire naturalmente dalle due aziende chiave nella catena globale del valore dei semiconduttori.

Come ricostruito da Bloomberg che ha raccolto alcune indiscrezioni, non confermate dalle due aziende, su pressione dei funzionari americani sulla controparte olandese, Asml sarebbe in grado di disattivare i macchinari avanzati EUV (quelli impiegati da Tsmc per produrre chip sotto i 5 nanometri, impiegati nei sistemi di IA) per prevenire un possibile utilizzo da parte dell’invasore.

Considerando che l’azienda taiwanese conta per il 68% circa del mercato foundry e fabbrica i 92% dei chip logici avanzati (seppur, a mio avviso, le quote di mercato non siano un benchmark ideale per stabilire se e quanto la sicurezza delle forniture sia assicurata con la strategia di reshoring), non è dunque un mistero che gli Stati Uniti abbiano fatto di tutto per ridurre questo rischio e rilanciare la leadership americana. Dapprima ricoprendo di dollari le principali aziende del settore, come GlobalFoundries, Intel, Samsung e la stessa Tsmc attraverso gli incentivi dello US Chips for America Act che ha stanziato $39 miliardi solo per il reshoring di attività manifatturiere. In cambio, Taiwan e la presidenza che ha preceduto Lai Ching-te hanno richiesto, e ottenuto, maggiori garanzie da Washington sul supporto militare dell’alleato che continua nella sua politica di ambiguità strategica per non alterare gli equilibri nel triangolo con Pechino e Taipei.

Ma allo stesso tempo, per prevenire che la Cina potesse mettere le mani su quei dispositivi gli Usa hanno fatto di tutto, comprese le restrizioni del Bureau of Industry and Security (BIS), al fine di impedire alle industrie cinesi come Smic, Huawei e Hua Hong di accedere ad una tecnologia critica come la litografia ultravioletta che da decenni, e non solo negli ultimi anni di aperta ‘guerra’ tecnologica, è sottoposta ad un presidio delle agenzie governative occidentali per prevenirne la diffusione.

Per mitigare questo rischio, sia Asml che Tsmc avrebbero installato dispositivi di sicurezza che possono essere attivati da remoto per cessare immediatamente la produzione e l’operatività dei complessi macchinari che vengono impiegati per trasformare i wafer di silicio nei microprocessori che abilitano le GPUs di Nvidia, di AMD e in generale i chip con capacità computazionale a supporto del training AI nei data center. Si tratta, d’altra parte, di chip che rientrano in una “zona grigia” su cui il Dipartimento del Commercio ha imposto un vero e proprio embargo e su cui la Cina ha risposto a sua volta prendendo di mira le aziende americane. È un tit-for-tat sempre più visibile e impattante nelle dinamiche di un mercato interdipendente e che alza la posta in palio, ma non solo.

Da una parte, il contenimento americano della Cina in questo settore starebbe spingendo le industrie cinesi a trovare ogni tipo di soluzione per sostituire la tecnologia occidentale (ricordiamo che Asml ha sviluppato l’EUV in seguito ad una serie di acquisizioni strategiche e investimenti in R&D interna che ne fanno, ora, la principale depositaria ma non immune, come abbiamo visto, dall’extra-territorialità dell’intervento americano sulla base di clausole che mirano a tutelare la proprietà intellettuale in nome della sicurezza nazionale), come dimostra l’impiego di dispositivi DUV per microprocessori avanzati di Smic e Huawei. Dall’altra, è plausibile ritenere che il reshoring delle fonderie negli Stati Uniti e in Europa possa, in qualche modo, ribaltare il calcolo dei costi-benefici di una mossa militare su Taiwan.

Si badi bene, Tsmc rimane custode della tecnologia di processo più avanzata impiegata nelle sue Fab sull’isola e naturalmente si è ben guardata dall’offshoring (sia per ragioni di opportunità geopolitica, sia per questioni legate ai dubbi circa la capacità dell’ecosistema americano di operare queste fonderie alla stessa efficienza industriale). Ma rimane evidente agli occhi di Pechino che Washington abbia voluto tutelarsi il più possibile a prescindere dalle richieste di Taipei: perdere Taiwan ora avrebbe significato perdere un know-how terribilmente prezioso e che neanche Intel sarebbe riuscita in poco tempo a replicare sul suolo americano. Perché il rischio non è solo quanto Tsmc produca bene i chip, ma come li produca è probabilmente la questione dirimente e che chiama in causa il ruolo di Asml e degli EUV (dal costo unitario di oltre $200 milioni), di cui Tsmc è il principale cliente.

Dal 2016 Asml ha commercializzato oltre 200 dispositivi EUV a clienti coreani, taiwanesi ed americani, mentre per quest’anno sono oltre 80 gli ordinativi già acquisiti in un contesto di rapida crescita della domanda di chip IA. L’azienda olandese, intanto, si aspetta che almeno il 10-15% delle vendite di quest’anno saranno in qualche modo impattate dall’ultimo round di restrizioni statunitensi, con il mercato cinese che probabilmente rimarrà il 50% delle vendite per i dispositivi DUV per chip maturi (nel primo quadrimestre del 2024, la Cina ha contato per il 96% delle spedizioni di questi dispositivi non sottoposti ad embargo dal governo olandese) che rimangono molto richiesti dal mercato e non sono sottoposti al regime di export control. Le industrie cinesi hanno una copiosa base installata per questi chip, essenziali per l’automotive, l’automazione e l’elettronica di largo consumo.

Di recente, la Segretaria al Commercio Usa, Gina Raimondo, ha affermato che qualora la Cina si impossessasse di Tsmc (e di Taiwan), “l’economia americana ne sarebbe devastata”. Infatti, anche se la società taiwanese sta costruendo come detto impianti in Arizona (dove peraltro si trova un centro di ricerca e di installazione di Asml), la prima fab non sarebbe operativa fino alla fine del 2025 e costruirà chip con tecnologia N4, una generazione indietro rispetto a quella posseduta a Hsinchu Park, mentre la seconda fab fino al 2028 (N3). Senza contare che le capacità operative di Tsmc sull’isola sfiorano 1 milione di wafer al mese (wpm).

Tuttavia, l’ipotesi di disattivare da remoto i macchinari di Asml sembra essere comunque più un segnale ulteriore a Pechino che non un vero e proprio asso nella manica. A settembre, il chairman di Tsmc, Mark Liu, aveva dichiarato alla Cnn che “nessuno può controllare Tsmc con la forza. Se ci fosse un’invasione militare questa renderebbe gli impianti di Tsmc inutilizzabili”. E’ forse proprio questo il vero punto: anche per industrie convenzionali e meno avanzate tecnologicamente, l’ipotesi di un conflitto militare o di un embargo renderebbe le attività insostenibili. E questo vale molto di più per le fonderie di chip, immaginate per escludere micro-particelle dalle cleanroom dove si utilizzano i macchinari di Asml per non contaminare il processo e i wafer di silicio ultra puri. Figuriamoci un esercito d’invasione. Probabilmente, disattivare i macchinari, più che per l’utilizzo operativo, rappresenta un modo per prevenire l’accesso ai software e il reverse engineering.

Washington avrebbe anche avanzato, nelle settimane precedenti, l’ipotesi di prevenire i servizi di manutenzione (il ricambio di alcune componenti è essenziale per garantire il corretto funzionamento dei sistemi litografici) e assistenza che i tecnici ed ingegneri di Asml garantiscono ai clienti, tra cui quelli cinesi: l’idea è rendere con il tempo i dispositivi DUV, acquistati in massa dalle industrie cinesi prima dell’entrata in vigore delle restrizioni a gennaio 2024, sempre meno affidabili per la produzione di chip avanzati con tecniche che gli ingegneri cinesi – con l’aiuto di Lian Mong Song, ex direttore della ricerca di Tsmc, che ha abbracciato la causa cinese dopo l’arrivo alla rivale SMIC nel 2017 – hanno acquisito con il tempo.

Uno dei principali timori di Aaml, spesso avanzati durante le discussioni con i funzionari del governo olandese e americano, è che più la Cina si ritroverà all’angolo per via delle restrizioni, più troverà stimoli per sviluppare in autonomia se non la tecnologia litografica quanto meno soluzioni alternative. Seppur sia difficile che tale sforzo possa scalfire la posizione monopolistica di Asml e le quote della rivale giapponese Nikon, la variabile potrebbe essere quella di quanto il governo cinese possa e voglia sostenere con sussidi e incentivi le sue aziende come SMEE e Naura (circa il 10% delle risorse previste dal Fondo Nazionale Cinese per i circuiti integrati è stato stanziato in questo segmento) nel lungo termine, per abbassare il rischio degli ingenti investimenti da effettuare in R&D (senza contare la necessaria collaborazione con i clienti e fornitori strategici) non tanto per aggredire il mercato (e Asml), ma per entrare in autonomia nell’era degli angstrom.

In questo senso, la possibilità di mercati alternativi con il rilancio della produzione occidentale (soprattutto negli Usa) potrebbe consentire ad Asml di guardare alla parziale perdita del mercato cinese come meno dolorosa, considerando che per l’azienda le questioni geopolitiche sono ormai entrate con prepotenza nella sua pianificazione manageriale e strategica.



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