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Droni europei, aziende Usa. Cosa sta succedendo con i loyal wingmen

Lo sviluppo dei Collaborative Combat Aircraft (Cca) sta rapidamente evolvendo da ambizione statunitense a priorità europea. Airbus, Kratos, General Atomics e Anduril hanno annunciato partnership con aziende tedesche per sviluppare droni gregari destinati al rafforzamento delle forze armate europee. Questa convergenza risponde al nuovo contesto strategico del riarmo continentale e al crescente budget militare della Nato

Lo sviluppo dei “Collaborative combat aircraft” (Cca), detti anche “droni gregari” o “loyal wingmen”, rappresenta una delle sfide più rilevanti (e forse prioritarie) nel panorama delle tecnologie emergenti applicate all’ambito della Difesa, con aziende storiche del settore che concorrono con le più innovative start-up per arrivare a perfezionare modelli per la produzione e il procurement alle forze armate di riferimento. Per quel che riguarda il blocco occidentale, fino ad ora gli Stati Uniti rappresentavano l’epicentro indiscusso degli sforzi in questa direzione. Ma la situazione sembra essere destinata a cambiare molto presto, con uno spostamento dell’attenzione verso il Vecchio continente.

A segnalare questo cambio di tendenza sono le dichiarazioni rilasciate negli ultimi giorni da alcune delle più note aziende del comparto aerospaziale americano. A partire dal colosso Airbus e dalla start-up Kratos, che hanno deciso di unire le forze con l’obiettivo dichiarato di fornire alla Luftwaffe (che ha da tempo sottolineato la necessità di un simile sistema che supporti i suoi attuali caccia con equipaggio, prima dell’arrivo dei velivoli di sesta generazione sviluppati nell’ambito del programma Fcas) un sistema di Cca pronto per il dispiegamento entro il 2029. La partnership tra le due realtà industriali prevede che Kratos offra il suo attuale drone Xq-58A “Valkyrie”, al quale verranno integrati sistemi di missione forniti da Airbus e adattati alle esigenze di Berlino.

“I nostri clienti hanno espresso una richiesta urgente di velivoli da combattimento collaborativi sia sacrificabile che non. Questa partnership contribuirà ad accelerare la capacità di difesa dell’Europa, favorendo al contempo i legami transatlantici della Nato”, ha detto Mike Schoellhorn, ceo di Airbus Defence and Space. Interessante da notare il fatto che quella con Kratos non è l’unica partnership siglata da Airbus in relazione ai Collaborative Combat Aircraft: l’azienda statunitense sta infatti lavorando in contemporanea anche ad un altro progetto di Cca denominato “Wingman” (presentato all’Ila Berlin Air Show del 2024) in collaborazione con l’azienda europea Helsing, che contribuirà con le sue capacità di intelligenza artificiale al velivolo unmanned.

Nelle stesse ore in cui veniva rilasciata la dichiarazione di Airbus e Kratos, anche General Atomics ha annunciato un proprio progetto di sviluppo di un sistema di Cca per le forze armate europee. “Siamo ansiosi di combinare la nostra esperienza nei sistemi aerei senza equipaggio con l’esperienza nei sensori aerei e nei sistemi d’arma dell’industria della difesa europea, a partire dalla nostra affiliata GA Aerotec Systems GmbH in Germania”, ha dichiarato il ceo di General Atomics Linden Blue in un comunicato. “Con un progetto Cca collaudato già oggi in produzione, questi sistemi saranno consegnati in quantità significative con input europei ad alta tecnologia per costruire e sostenere una massa accessibile per le forze di combattimento della Nato”.

Il mese scorso, anche Anduril aveva annunciato una sua partnership con il colosso tedesco Rheinmetall nello sviluppo di un Cca per gli apparati di difesa del Vecchio Continente, e in particolare di una variante europea del Fury nel quadro di sovranità digitale (“Battlesuite”) di Rheinmetall.

Non è difficile capire cosa ci sia dietro al rinnovato interesse delle aziende della difesa Usa nei confronti dell’Europa. Il combinato disposto del processo “politico” di riarmo avviatosi negli ultimi mesi e dell’aumento della quota percentuale di spese della difesa in ambito Nato sta spingendo a stanziare sempre più fondi non solo nel rafforzamento degli arsenali delle forze armate del continente, ma anche nello sviluppo di un apparato militare-industriale europeo a cui rivolgersi per il futuro. Di fronte ad un’opportunità di investimento di questo calibro, le aziende statunitensi possono far leva sul proprio know-how per posizionarsi saldamente come stakeholder nel processo di riarmo del Vecchio continente, con risultati di cui andranno a beneficiare entrambe le sponde dell’Atlantico. E se il modello si rivelasse efficiente, è facile immaginare che questo tipo di collaborazione si potrebbe espandere presto ad altri settori dell’industria della difesa.


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