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Così Meloni ha dato credibilità internazionale all’Italia, ora via con economia e riforme. Parla Zeneli

La premier italiana ha consolidato la reputazione internazionale del Paese su temi chiave come l’allineamento transatlantico e il rapporto con l’Ue, la guerra in Ucraina e la relazione con la Cina. Secondo Valbona Zeneli (Atlantic Council) adesso serve anche un cambio di passo sull’economia e le riforme

Giorgia Meloni ha superato la scorsa settimana la soglia simbolica dei mille giorni a Palazzo Chigi, un traguardo che la colloca tra i governi più longevi della Repubblica italiana. È l’occasione per un bilancio di politica estera. Lo facciamo con Valbona Zeneli, senior fellow presso lo Europe Center dell’Atlantic Council, che sottolinea: “Meloni ha presentato l’Italia come partner credibile e affidabile nell’alleanza euro-atlantica”. E avverte: “La sfida vera resta economica: senza riforme strutturali, la resilienza italiana rischia di esaurirsi”.

Dall’opposizione al centro della scena internazionale: come valuta l’evoluzione di Giorgia Meloni in politica estera?

Dall’assunzione dell’incarico nel 2022, la coalizione di centrodestra guidata dalla premier Giorgia Meloni è diventata uno dei cinque governi più longevi nella storia della Repubblica. Questa stabilità interna si è tradotta in una crescente credibilità a livello internazionale, permettendo alla premier di presentare l’Italia come un partner coerente e affidabile negli affari globali, e come un attore centrale all’interno dell’alleanza euro-atlantica.

L’Ucraina è stato un banco di prova?

Il suo partito, Fratelli d’Italia, aveva inizialmente suscitato preoccupazioni all’estero, soprattutto all’interno dell’Unione europea, circa l’orientamento del governo rispetto alla cooperazione transatlantica. Ma Meloni ha rapidamente dissipato quei dubbi: ha sostenuto con forza l’Ucraina, chiesto sanzioni più dure contro la Russia, co-ospitato a Roma con Volodymyr Zelensky la Conferenza per la Ricostruzione dell’Ucraina – promettendo oltre 10 miliardi in aiuti – e garantito il sostegno italiano alle imprese impegnate nel processo di ricostruzione.

E sul fronte della Nato…

Meloni ha riaffermato il ruolo della Nato come pilastro della difesa italiana, chiarendo che una difesa europea non è realizzabile senza l’Alleanza Atlantica. Il suo governo ha promesso di raggiungere il target del 2% del Pil in spesa militare entro il 2025, con un piano di crescita progressiva fino al 5% entro il 2035, anche attraverso la classificazione di investimenti infrastrutturali a duplice uso civile-militare.

In politica estera il governo Meloni si contraddistingue anche per una ripetizione semantica quasi programmatica: la parola “ponte”, come rappresentazione della volontà strategia di creare collegamenti diplomatici. Come viene percepita a livello internazionale?

Diciamo che ha effettivamente assunto un ruolo da costruttrice di ponti diplomatici: prima leader Ue a visitare Washington dopo il ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump, ha poi ospitato a Roma un vertice trilaterale con il vicepresidente statunitense JD Vance e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, per rilanciare la cooperazione transatlantica su commercio e Ucraina. Ha anche compiuto una netta inversione sulla Cina: uscita dalla Belt and Road, attenzione alla sicurezza nazionale e sostegno a regole commerciali europee più eque. Infine, ha accolto con entusiasmo il corridoio India–Medio Oriente–Europa (Imec), definendolo “cruciale” per la strategia italiana di connessioni globali.

L’Italia è davvero più rilevante oggi a Washington, principale alleato e potenza globale?

Sì, l’Italia viene oggi percepita con maggiore attenzione. La diplomazia proattiva di Meloni – dal dialogo tempestivo con la nuova amministrazione americana al riavvicinamento tra Ue e Usa, fino all’allineamento su dossier chiave come la Cina e la sicurezza energetica – ha rafforzato il peso di Roma nelle strategie di Washington.

Quali sono, invece, i limiti e le criticità dell’attuale governo?

La sfida principale resta quella economica. L’Italia continua a mostrare segnali di fragilità: crescita debole, debito pubblico al 145% del Pil, forte dipendenza da misure straordinarie post-Covid. Finora, gran parte della ripresa si è basata su bonus edilizi e fondi europei, non su riforme strutturali. Serve uno sforzo deciso per rilanciare innovazione, attrarre investimenti privati, ridurre il debito e liberalizzare settori chiave. In questo contesto, sarà cruciale lo sblocco e l’utilizzo efficace dei fondi europei, da accompagnare con politiche per l’inclusione sociale e la tutela delle libertà democratiche.


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