Dazi come mulini al vento e confronto economico e strategico perdente con Xi Jin Ping. Mentre la Casa Bianca frantuma l’alleanza con l’Occidente a colpi di tariffe doganali, la Cina mimetizza e consolida la sua espansione economica mondiale. L’analisi di Gianfranco D’Anna
La dazi strategy di Trump non è l’unica causa di destabilizzazione del sistema economico internazionale. Operando, come si dice, a quota periscopio, la Cina attua da anni una tattica finanziaria che punta alla conquista del monopolio dei mercati e all’approvvigionamento di ogni tipo di merci.
Come? semplicemente mantenendo forzatamente basso, molto al di sotto del valore di mercato, Yuan e Renminbi. La valuta ufficiale di Pechino e di tutta la Cina è il Renminbi, che significa “moneta del popolo”. La sua unità base è lo yuan e i due termini sono intercambiabili. Ovvero, dire 5 Renminbi è come dire 5 Yuan, che equivalgono al cambio attuale a 0,69 dollari e a 0,59 Euro.
In particolare la Banca centrale cinese mantiene lo Yuan ad un basso livello di interscambio rispetto all’Euro per rendere oltremodo convenienti l’acquisto di merci e prodotti del Dragone e ad aumentare la dipendenza dell’Europa dal made in China.
Con un duplice effetto: se per le imprese europee acquistare prodotti cinesi costa di meno, i beni europei vengono ceduti a Pechino a prezzi più alti, ma vengono pagati in Yuan. In sostanza, la Cina vende di più in Europa, ma compra meno da essa.
Come riportato da Formiche.net, la crescente dipendenza dall’indiscutibile economicità dei prodotti cinesi – denuncia uno studio del German Economic Institute – sta provocando la progressiva deindustrializzazione del continente.
“I costi artificialmente bassi in Cina, dovuti alla sottovalutazione dello yuan, sono semplicemente troppo allettanti per le imprese, che hanno tutto l’interesse a comprare beni dalla Cina, proprio perché costano straordinariamente poco”, spiega l’Istituto tedesco per la ricerca economica, che nel suo rapporto accusa apertamente il “comportamento altamente poco trasparente della Banca centrale cinese”.
Ma perché la Cina rinuncia cosi platealmente e antieconomicamente a riapprezzare e sostenere la propria valuta? Per un cinico calcolo di economia politica che solo le dittature e i sistemi totalitari possono concepire e purtroppo attuare: con il persistente eccesso di produzione e il cronico sottoconsumo, un renminbi rivalutato sposterebbe la distribuzione del reddito interno dalle imprese alle famiglie, ma penalizzerebbe l’intero sistema produttivo.
Anche a costo di pesanti costi per i cittadini cinesi, l’obiettivo del regime comunista è dunque quello di acquisire il dominio assoluto del mercato internazionale e di “spremere” successivamente europei e occidentali ormai incapaci di diversificare gli acquisti. Una Weltanschauung in salsa cinese, letteralmente in tedesco una concezione del mondo, che spiega l’esatta situazione del braccio di ferro fra Washington e Pechino.
È la Cina, non il velleitario Trump, che dà le carte. Oltre alla leadership in tutti gli ambiti d’applicazione dell’intelligenza artificiale e del settore dell’ automotive elettrica, ibrida o con motori a combustione interna, Pechino sfiora infatti il monopolio mondiale sulle terre rare.
Non solo controlla una grande percentuale sia delle riserve globali che dell’estrazione e produzione di minerali ed elementi chimici, come scandio, ittrio e i lantanoidi, essenziali per l’industria high-tech, ma anche la lavorazione di questi componenti cruciali per quasi tutte le tecnologie avanzate. Un monopolio di fatto che conferisce alla Cina la possibilità di condizionare i mercati globali.
In difficoltà sul fronte dello sviluppo tecnologico e dell’interscambio commerciale, Trump ha scatenato lo tsunami dei dazi per finanziare il Big Beautiful Bill, la legge di bilancio, che taglia le tasse ai ricchi e riduce o abolisce l’assistenza sanitaria e le agevolazioni alle classi medie e alle famiglie a basso reddito. Più controverse e oscure le motivazioni del varo da parte della Casa Bianca della prima legge che regolamenta il far west selvaggio delle criptovalute, il cosiddetto Genius act.
Oltre alla necessità di drenare ulteriori risorse per non fare lievitare il disavanzo pubblico, già sovraesposto, le nuove norme per gli enti che emettono “stablecoin”, da una parte rappresenta un modo più veloce ed economico per effettuare pagamenti, ma dall’altra favorisce l’anonimato dei movimenti di denaro.
In pratica apre le porte della finanza e dell’economia al riciclaggio di qualsiasi tipo, da quello degli stratosferici proventi del narcotraffico, all’evasione fiscale alle transazioni criminali del deep web.
La legalizzazione degli effetti perversi delle criptovalute accentua il divario fra Stati Uniti, Cina ed Europa e potrebbe avviare il declino del dollaro come la valuta di riserva globale di riferimento. Entro pochi anni, Cina ed Europa vareranno infatti l’Euro e lo Yuan digitali, equivalente elettronico del contante che affiancherebbero, senza sostituirle, banconote e monete, ampliando a livello internazionale le opzioni di pagamento. L’obiettivo, soprattutto per lo Yuan, é quello di affermare il ruolo della divisa cinese sui mercati finanziari internazionali. Un ruolo che si avvicina sempre più alla parità funzionale col dollaro, ma é immune dai rischi e dall’instabilità intrinseca delle criptovalute.
Nel caso dell’Euro digitale non servirà una connessione ad Internet. Per favorire le criptovalute Trump ha invece vietato, con un ordine esecutivo, i progetti già avviati dalla Federal Reserve per introdurre il dollaro digitale. Con la conseguenza che gli Usa potrebbero rimane fuori da una possibile “currency competition” che a questo punto vedrà come protagoniste l’area Euro e la Cina, ed a seguire il Giappone.
Lo scenario economico verso il quale Trump sta indirizzando gli Stati Uniti è quello di un sistema finanziario e commerciale globale tracciabile e trasparente incentrato su Euro e Yuan digitali, mentre la divisa americana muoverà tutto il sommerso dei narcodollari e delle criptovalute.
Una sorta di paradiso fiscale, borderline con gli stati canaglia dell’economia.
A Pechino ringraziano, non una ma due volte. Innanzi tutto per la supremazia economica nei cinque continenti e per lo Yuan digitale che l’accredita internazionalmente come credibile riferimento finanziario, e poi perché attraverso i suoi imperscrutabili servizi di intelligence riesce comunque a trarre profitti, copiare progetti e segreti industriali, manipolare e tenere d’occhio anche i meandri di quell’oscura economia illegale in balia delle prepotenze di interessi senza limiti che Trump si illude di controllare.
Per il tycoon, il Cavaliere della Bianca Luna, che come nel romanzo di Cervantes sconfigge il Don Chisciotte di Mar a Lago, ha il volto di Xi Jinping.