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Tragedie identiche giudicate in modo opposto. Quando la pace apre e chiude gli occhi secondo Bonanni

Oggi più che mai sarebbe necessario che le classi dirigenti recuperassero la capacità di mediazione, il coraggio di assumere decisioni impopolari ma giuste, e la dignità di un impegno che non cede alla propaganda né all’opportunismo. Solo così potremo invertire il corso della deriva, restituendo centralità alla verità, al rispetto reciproco e a quella democrazia sostanziale che non può sopravvivere senza coscienza critica e senza una visione di lungo respiro. L’opinione di Raffaele Bonanni

Il clima che da oltre un lustro accompagna le nostre società non è tra i migliori vissuti nell’ultimo mezzo secolo. La pandemia, più che un nemico invisibile, ha messo in luce risentimenti sopiti e comportamenti anomali: accuse di complotti, timori di manipolazioni genetiche, suggestioni che ci hanno riportato indietro, alle superstizioni paragonabili alle pesti di secoli fa.

Le democrazie occidentali, invece di rafforzarsi nell’emergenza, si dividono. Forze politiche prive di visione hanno trovato comodo attingere alle paure ancestrali, alimentando fratture profonde. Non diversamente accade oggi nei conflitti che ci coinvolgono: la percezione stessa della violenza, delle morti, del degrado morale varia a seconda delle appartenenze ideologiche e delle stesse eredità familiari che si trasmettono spesso di generazione in generazione.

Così, tragedie identiche vengono giudicate in modo opposto. Non c’è stata indignazione universale per la barbarie di Hamas, per l’eccidio rituale e tribale di un migliaio di civili israeliani, ma al contrario manifestazioni di simpatia che spesso hanno assunto forme violente. Accade a causa della reazione di Israele, che ha voluto ignorare il limite che porta alla disumanità contro popolazioni a quel punto vittime predestinate loro, e di Hamas che li usa come scudi umani.

Lo scenario è ancora più cupo se allarghiamo lo sguardo: Russia, Iran e Cina agiscono in sincronia su scacchieri regionali, determinati a sovvertire gli equilibri globali con guerre ibride e conflitti reali. E anche qui l’opinione pubblica oscilla: c’è chi giustifica Mosca, dimenticando che l’invasione dell’Ucraina è stata un atto seriale di annientamento del diritto internazionale, con territori devastati, civili massacrati e oltre ventimila bambini rapiti. Eppure nelle università, nelle piazze e perfino nei parlamenti non si levano grida sufficienti contro questi crimini contro civili freddamente programmati.

È inquietante la leggerezza con cui certa politica può rinunciare al proprio compito di guida. Per rincorrere consensi effimeri, accetta di correre come un asino in una gara di campagna, dimenticando che il suo ruolo è orientare i cittadini al discernimento, custodendo la cultura della pace. Una pace che non può chiudere e aprire gli occhi a seconda degli interessi del momento.

Gli episodi legati alla cosiddetta flottiglia e alle violenze di piazza lo dimostrano: troppe iniziative appaiono compromesse nella loro limpidezza. Il tutto aggravato nella sua chiarezza di intenti dal mancato ascolto delle raccomandazioni del Presidente Mattarella, figura limpida e imparziale, che rappresenta l’esempio più alto di un capo dello Stato lontano dalle contese partigiane. La sua voce richiama alla responsabilità, all’urgenza di non smarrire i valori fondanti della Repubblica e al dovere morale di resistere ai venti di odio. Oggi più che mai sarebbe necessario che le classi dirigenti recuperassero la capacità di mediazione, il coraggio di assumere decisioni impopolari ma giuste, e la dignità di un impegno che non cede alla propaganda né all’opportunismo. Solo così potremo invertire il corso della deriva, restituendo centralità alla verità, al rispetto reciproco e a quella democrazia sostanziale che non può sopravvivere senza coscienza critica e senza una visione di lungo respiro.


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