Di fronte alla stretta cinese sulle terre rare, l’Ue deve reagire con fermezza. “È il momento di usare lo strumento anticoercizione o la coercizione economica diventerà la nuova normalità”, avverte Tobias Gehrke, senior policy fellow dell’Ecfr
Nel giorno in cui la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha annunciato, da Berlino, la preparazione di un nuovo piano “RESourceEU”, modellato sull’esperienza del REPowerEU che aveva risposto allo stop del gas russo, torna al centro il nodo della dipendenza europea dalle terre rare cinesi. “Oltre il 90% dei nostri magneti di terre rare proviene dalla Cina”, ha avvertito la presidente, sottolineando i rischi per i settori strategici europei — dall’automotive alla difesa, dall’aerospazio all’Intelligenza artificiale. Bruxelles, ha aggiunto, “è pronta a usare tutti gli strumenti a disposizione, se necessario. “Collaboreremo con i nostri partner del G7 per una risposta coordinata. Ma dobbiamo anche considerare questa come una sfida strutturale. La nostra risposta deve essere all’altezza dei rischi che affrontiamo in questo settore”.
L’annuncio arriva mentre la decisone di Pechino sull’export control delle terre rare sta mettendo in difficoltà le aziende europee (per prime quelle delle autovetture tedesche), e mentre il ministro del Commercio cinese, Wang Wentao, è atteso presto a Bruxelles per un confronto con la Commissione. Molti osservatori ritengono che i leader dell’Ue debbano inviare un segnale chiaro di forza: l’Europa non può permettersi di essere ricattata. Serve una linea tattica comune su come rispondere alla stretta di Pechino sulle terre rare. Anche perché la Cina rappresenta il 61% dell’estrazione di terre rare e il 92% della raffinazione, secondo l’Agenzia internazionale dell’energia. Fornisce quasi il 99% della fornitura dell’Ue delle 17 terre rare, nonché circa il 98% dei suoi magneti permanenti delle terre rare.
Tra le voci più autorevoli nel dibattito, è particolarmente netta quella di Tobias Gehrke, senior policy fellow dell’Ecfr, esperto dí geoeconomia. “I leader europei devono chiedersi se vogliono che la loro industria della difesa e la transizione energetica siano tenute in ostaggio da burocrati a Pechino che approvano licenze”, dice in commenti fatti avere a Formiche.net. Secondo lui, il problema non è solo economico ma strategico: “La Cina si è data il potere di soffocare l’industria europea, la nascita di catene di approvvigionamento alternative e gli sforzi di stoccaggio. Ha buttato via le chiavi stesse che gli europei pensavano di poter usare per uscire dalla gabbia della dipendenza”.
Gehrke avverte che la tentazione di cercare un compromesso rapido sarebbe un errore. “C’è il rischio – spiega – che l’Ue offra concessioni commerciali o di sicurezza a Pechino in cambio di un sollievo temporaneo sui controlli all’esportazione delle terre rare. Sarebbe una mossa sbagliata. L’Europa deve invece alzare il livello della negoziazione, non abbassarlo”.
Per Gehrke, la risposta deve essere politica e strutturale: “Se l’Europa ingoia questa misura senza mettere le proprie carte sul tavolo, la coercizione economica diventerà la nuova normalità”. E le carte, sottolinea, l’Ue le ha già. “Lo strumento anticoercizione è stato creato esattamente per questo scenario ed è ora di toglierlo dallo scaffale e usarlo”, afferma.
In concreto, il meccanismo europeo potrebbe colpire un ampio ventaglio di settori: dalle esportazioni di macchinari avanzati, apparecchiature per semiconduttori e servizi aeronautici, fino a importazioni chiave dalla Cina come automobili, turbine eoliche, dispositivi medici, apparecchi per telecomunicazioni e beni di consumo a basso costo.
Gehrke chiarisce tuttavia che l’obiettivo andare oltre al rischio di aprire una guerra commerciale: “Lo scopo non è una trade war, ma un equilibrio di potere economico basato su una sorta di ‘mutua distruzione assicurata’”. Solo così, spiega, l’Europa potrà forzare con Pechino “un accordo geopolitico che le consenta di guadagnare tempo; tempo che deve essere investito nel decoupling industriale dalle terre rare cinesi”.
Nel linguaggio chiaro e programmatico di Gehrke emerge una linea di fondo: non cedere alla pressione, ma rispondere con forza regolata. Bruxelles, dice, non può continuare a parlare di autonomia strategica se non è disposta a esercitarla.















