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Siria e Libano dopo Gaza. La visione Usa sul Mediterraneo firmata da Tom Barrack

La nota diplomatica di Tom Barrack delinea il piano di Washington per estendere il cessate il fuoco a Gaza in un quadro più ampio di stabilità del Levante: ricostruire la Siria, stabilizzare il Libano e rimodellare la sicurezza regionale attraverso l’interdipendenza economica. L’Italia si allinea a questa visione, vedendo nel Mediterraneo allargato la cerniera tra la prosperità europea e la stabilità regionale

Il memorandum pubblicato da Tom Barrack, ambasciatore statunitense in Turchia e inviato speciale per la Siria, segna un momento di chiarezza nella strategia mediorientale dell’amministrazione Trump. Nel testo, intitolato “Syria and Lebanon Are the Next Pieces for Levant Peace”, Barrack delinea con linguaggio diplomatico ma inequivocabile la reale fase due del progetto americano per la stabilità regionale: dopo la tregua di Gaza, la ricostruzione della Siria e la normalizzazione del Libano.

Il documento si apre ricordando il 13 ottobre 2025, giorno del vertice di Sharm el-Sheikh, quando la liberazione degli ostaggi e l’avvio dei negoziati di pace sono stati accompagnati dall’approvazione di un “piano di rinnovamento in venti punti” proposto dal presidente Donald Trump. Quello che per molti appariva un esercizio retorico, osserva Barrack, è diventato l’inizio di un “nuovo mosaico di cooperazione” tra Paesi arabi, musulmani e occidentali. La tregua di Gaza, scrive, “non è un evento ma un processo”, e il suo successo dipenderà dalla capacità di estendere lo stesso principio – pace attraverso la prosperità – al resto del Levante.

Il “pezzo mancante” siriano

La prima direttrice riguarda la Siria, definita “the missing piece of peace”. Barrack invita il Congresso americano a completare l’iter di abrogazione del Caesar Syria Civilian Protection Act, la legge del 2019 che ha imposto sanzioni contro il regime di Bashar al-Assad. Il Senato ha già votato per la revoca; ora tocca alla Camera. “Le sanzioni hanno servito il loro scopo morale – scrive – ma oggi soffocano una nazione che cerca di ricostruirsi”.

Secondo l’ambasciatore, il nuovo governo insediato a Damasco nel dicembre 2024 ha avviato un processo di riconciliazione con Turchia, Arabia Saudita, Emirati, Egitto e Unione europea, spingendosi fino a discussioni di confine con Israele. In questo contesto, il mantenimento delle sanzioni non punisce più un regime, ma “gli insegnanti, i contadini e i commercianti che devono alimentare la ripresa”. L’abrogazione, insiste Barrack, non sarebbe un atto di clemenza ma di “realismo strategico”: permetterebbe di riattivare investimenti privati e aiuti internazionali, trasformando la Siria nel primo grande cantiere di ricostruzione del Medio Oriente post-conflitto.

La svolta è coerente con la decisione di Donald Trump, annunciata a Riad a maggio e formalizzata il 30 giugno 2025, di revocare la maggior parte delle sanzioni unilaterali. È un cambio di paradigma: da una politica di punizione a una politica di inclusione, che mira a ridurre l’influenza iraniana non con la coercizione ma con la normalizzazione economica.

La frontiera libanese

Il secondo asse riguarda il Libano. Per Barrack, la stabilità di Damasco e il disarmo di Hezbollah sono “le due gambe della sicurezza settentrionale di Israele”. Il cessate il fuoco del 2024, negoziato sotto la presidenza di Joe Biden, “ha prodotto una calma senza pace”: l’esercito libanese resta privo di autorità, e Hezbollah mantiene il controllo politico e militare.

Washington, spiega, ha proposto il piano “One More Try”, basato su un disarmo graduale verificato da Stati Uniti, Francia e ONU e sostenuto da incentivi economici provenienti dai Paesi del Golfo. Ma il governo libanese lo ha rifiutato, bloccato dal veto del partito sciita – collegato a doppio filo al gruppo estremista, a sua volta legata al sistema ideologico e operativo della Repubblica islamica iraniana. Barrack avverte che se Beirut continuerà a esitare, Israele potrebbe intervenire unilateralmente, con conseguenze “gravi e prevedibili” – nei due anni di guerra regionale attorno a Gaza, Tel Aviv ha alzato clamorosamente il livello di impegno contro Hezbollah, arrivando a eliminare in un raid il leader supremo Hassan Nasrallah a settembre dello scorso anno.

Dietro la prudenza diplomatica del testo si legge un avvertimento politico: se Hezbollah sceglierà lo scontro, rischia di precipitare il Paese in un nuovo collasso istituzionale, aggravato dalla tentazione di rinviare le elezioni previste per maggio 2026 con il pretesto dell’emergenza. Sarebbe, secondo Barrack, “la replica di un potere di milizia che sospende la democrazia”.

La prospettiva opposta – disarmo, rilancio economico e rafforzamento delle Forze Armate Libanesi – aprirebbe invece la strada a un’integrazione regionale senza precedenti. “Disarmare Hezbollah non è solo un imperativo di sicurezza per Israele, è un’opportunità di rinascita per il Libano”, sintetizza l’ambasciatore.

Il mosaico regionale

Tra le righe del memo si può leggere un messaggio più ampio: il Levante è al centro di un disegno di ricomposizione regionale che coinvolge anche Arabia Saudita, Qatar e Pakistan, e che non esclude – in prospettiva – un accordo pragmatico con Teheran. Nella visione di Barrack, e più in generale della nuova diplomazia americana, la sicurezza non nasce più dalla deterrenza ma dall’interdipendenza. È la stessa logica che ha guidato gli Accordi di Abramo e che oggi viene estesa alla posizione orientale del Mediterraneo.

La stabilità della regione del Mediterraneo Allargato, a cui ovviamente si lega anche quella dell’Indo-Mediterraneo spingendosi ancora più a Oriente, è un tassello fondamentale per gli equilibri internazionali – come emerso chiaramente negli ultimi due anni. Secondo Washington, si può prendere spunto dalla tregua di Gaza e alla successiva implementazione dell’accordo di pace trovato sotto il “Trump Plan” per comporre una nuova architettura di sicurezza regionale – che passa dalla soluzione delle crisi nel Levante, ma anche dall’accordo di sicurezza condivisa con il Qatar, dalle discussioni di qualcosa di simile (on steroids probabilmente) con l’Arabia Saudita, alle rinnovate relazioni con il Pakistan e alla non esclusione di un possibile accordo (sotto pressione) con l’Iran.


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