Il leader cinese e il presidente americano si sono incontrati. Trump e Xi hanno segnato il perimetro (momentaneo?) del confronto tra le due potenze, qualcosa che l’Unione europea deve osservare con attenzione e protattività. Barkin (Rhodium/Gmf) lascia un messaggio chiaro, che va oltre il vertice, ma confermato dalle dinamiche osservabili in controluce da Busan: “C’è urgente bisogno che l’Europa inizi il processo di de-risking dalla Cina dopo diversi anni in cui il discorso non è stato abbinato a un’azione concreta”
Dopo il suo incontro con il segretario del Partito Comunista Cinese, Xi Jinping, Donald Trump ha detto di essere “estremamente onorato” che il presidente cinese abbia autorizzato acquisti su larga scala di prodotti agricoli statunitensi, tra cui soia e sorgo – una mossa inquadrata come una buona notizia per gli agricoltori americani, nell’ottica del raccontare come un successo il primo faccia a faccia dei due leader globali del secondo mandato trumpiano.
Trump ha anche affermato che, dopo il vertice odierno a Busan, Pechino ha accettato di mantenere le esportazioni di terre rare, minerali critici e magneti e far scorrere gli scambi “apertamente e liberamente”. Inoltre, la Cina avrebbe accettato di collaborare con Washington nel frenare il traffico di fentanyl negli Stati Uniti. L’americano ha aggiunto che la Repubblica Popolare avrebbe iniziato ad acquistare energia dagli Stati Uniti, accennando a un importante potenziale accordo che coinvolge petrolio e gas dall’Alaska.
Questi sono, evidentemente, i principali risultati finali da parte americana, mentre ci sarà da decifrare con attenzione il linguaggio con cui il Partito/Stato racconterà l’incontro (confrontare le letture ufficiali è sempre la parte più interessante di certi vertici). Tuttavia, un risultato pare chiaro: per ora, niente “guerra commerciale”.
“L’Europa comunque non ha alcun interesse che gli Stati Uniti e la Cina scendano in una spirale di escalation”, commenta Noah Barkin, senior advisor per la Cina del Rhodium Group e autore di “Watching China in Europe”, newsletter del German Marshall Fund, in cui è senior fellow dell’Indo-Pacific Program. Barkin è da tempo punto di riferimento sulle dinamiche che intersecano le linee di interessa tra Pechino, Washington e Bruxelles. “Una calma delle tensioni tra Washington e Pechino può essere positiva per Bruxelles”, chiosa.
Narrazioni e interessi
“Credo da sempre che lo sviluppo della Cina vada di pari passo con la tua visione Maga, ha detto il leader cinese rivolgendosi al presidente statunitense, con riferimento al suo slogan politico “Make America Great Again”. Lo scambio, avvenuto nei minuti che hanno preceduto l’avvio delle quattro ore di faccia a faccia tra i leader delle due principali potenze globali, è uno spaccato del periodo storico che stiamo vivendo.
Xi, che guida il principale rivale dell’America, accetta — non senza il rischio di passare per debole all’interno del paese e del Partito — di abbinare gli interessi di crescita della Repubblica Popolare Cinese alla politica vasta che sta segnando la traiettoria degli Stati Uniti. E lo fa con una formula retorica accomunante: il richiamo alla crescita condivisa accarezza, con interesse, l’ego di Trump, dimostrando che Xi ha compreso la grammatica della relazione. “Signor Presidente, lei si preoccupa molto della pace nel mondo ed è molto entusiasta di stabilizzare varie questioni di hotspot regionali. Apprezzo i vostri grandi contributi alla recente conclusione dell’accordo di cessate il fuoco di Gaza”, ha detto Xi. Parole che permettono a Trump di raccontare l’intesa con il cinese come un successo, comune, ma legato alla dimostrazione di forza dell’americano. Un’intesa oggettivamente necessaria per entrambi, come accennava Barkin — o per dirla col claim storico della narrazione strategica cinese, un “win-win”.
Le lente (e l’interesse) europeo
Dinamiche fondamentali da osservare, perché da esse dipende — e direttamente — anche il futuro della prosperità, dunque della stabilità, europea (e dunque anche italiana). “Il rischio per l’Europa è che gli accordi tra Trump e Xi, ad esempio sulle terre rare, lascino l’Europa al freddo e minino il potenziale per una cooperazione transatlantica, e più ampia del G7, su questa e altre sfide di sicurezza economica”, aggiunge Barkin, in una conversazione a latere dell’evento “Turning Tides”, che la Johns Hopkins Sais ha co-organizzato con l’Università di Bologna lunedì e martedì, e di cui Formiche è stato media-partner.
Yes but… “Tuttavia, indipendentemente da ciò che è stato concordato tra Xi e Trump, è probabile che le relazioni Usa-Cina rimangano tese negli anni a venire, con periodi di escalation e de-escalation. Non c’è un grande accordo tra Trump e Xi”.
La lettura è comune a quella di altri esperti. L’intesa è momentanea, diceva Michael Plummer, mentre Frank Gavin invitava a decodificare l’imprevedibilità un passo alla volta. Barkin aggiunge un tema cruciale e paradigmatico, la questione delle terre rare, i materiali fondamentali per la transizione tecnologica che stiamo vivendo e che sta modificando le nostre quotidianità. Alla luce dei recenti controlli alle esportazioni di Pechino e della continua dipendenza dell’Europa dai minerali critici cinesi, come dovrebbe rispondere l’Ue? E quali saranno i problemi nel farlo?
“In un primo passo, l’Europa deve impegnarsi con la Cina per cercare di raggiungere un accordo che garantisca il continuo flusso di terre rare alle aziende europee. Allo stesso tempo, l’Europa deve lavorare con i suoi partner del G7 per stabilire fonti alternative. Questo sarà più impegnativo se gli Stati Uniti non sono disposti a passarsi a palla”, risponde Barkin.
Se la cooperazione con Washington non è possibile, all’Europa basterà lavorare con altri partner come Giappone, Canada e Australia? “Garantire una fornitura affidabile di terre rare extra-Cina è solo una parte del problema. Le aziende che investono nell’estrazione mineraria, nella raffinazione e nel riciclaggio devono sapere che la domanda ci sarà nonostante il fatto che l’offerta della Cina sarà molto più economica. Quindi i governi dovranno fissare i prezzi minimi per le materie prime cinesi e fornire garanzie di acquisto a lungo termine per incentivare gli investimenti in una catena di approvvigionamento delle terre rare. La scala sarà cruciale. L’Europa non può farlo da sola”.
Il messaggio per Bruxelles (da Busan)
Barkin lascia un messaggio chiaro, che va oltre il vertice, ma è confermato dalle dinamiche osservabili in controluce da Busan. “C’è urgente bisogno che l’Europa inizi il processo di de-risking [dalla Cina] dopo diversi anni in cui il discorso non è stato abbinato a un’azione concreta. Ciò farà richiedere all’Europa di stabilire le priorità strategiche”.
Per l’esperto, ridurre la dipendenza europea dalle terre rare dalla Cina, idealmente in collaborazione con il G7 e altri partner, dovrebbe essere in cima alla lista delle priorità attuali e future. “Questa sarà una prova per la capacità dell’Europa di ridurre il rischio [di esposizione]. Non si tratta di disaccoppiamento. Non si tratta di interrompere l’impegno con la Cina. E non si tratta di eliminare completamente la dipendenza dell’Europa dalla Cina in alcune aree. Si tratta di iniziare il processo di mitigazione delle vulnerabilità abbaglianti in un orizzonte temporale da cinque a dieci anni”.
















