Il turismo non è un’industria stabile e questo potrebbe generare non poche difficoltà al nostro Patrimonio artistico nel caso in cui, per qualsivoglia motivo, il nostro Paese iniziasse ad accogliere un numero minore di persone. Per questo è urgente che l’Italia si doti di una strategia di progressivo consolidamento del rapporto con i cittadini. L’opinione di Stefano Monti
In questi anni, il nostro Paese ha avviato una strategia di valorizzazione del Patrimonio Culturale sempre più aderente alle domande di un flusso turistico in aumento.
Condizione particolarmente utile, soprattutto quando, per rispondere ad esigenze di turisti, i Siti del nostro Patrimonio hanno sviluppato servizi e offerte culturali utili anche ai cittadini (che dovrebbero restare in ogni caso i destinatari principali delle politiche culturali).
Lo sviluppo del turismo in Italia è fortemente legato alla capacità di attrazione che il nostro Paese ha a livello internazionale, attrazione in gran parte dovuta proprio al nostro Patrimonio.
Il turismo, però, non è un’industria stabile, e questo potrebbe dunque generare non poche difficoltà al nostro Patrimonio nel caso in cui, per qualsivoglia motivo, il nostro Paese iniziasse ad accogliere un numero minore di persone.
Lo abbiamo sperimentato con la pandemia. Ma sperimentare non significa necessariamente apprendere, perché l’idea diffusa è che l’assenza di turismo sia oggi associabile soltanto a condizioni di tale “unicità”.
Si tratta di una visione ingenua, e forse presuntuosa: l’idea alla base è che tutti i Paesi del mondo continueranno ad ammirare la nostra Italia, e che nulla potranno gli investimenti altre Nazioni stanno conducendo per favorire lo sviluppo del proprio turismo, domestico ed internazionale.
I dati, tuttavia, lasciano emergere la possibilità che la prima area del multipolarismo sia proprio quella turistica.
La Cina, ad esempio, ha visto in questi anni esplodere il fenomeno del “turismo rosso” registrando un numero sempre maggiore di persone che decidono di visitare i luoghi del mito rivoluzionario comunista.
Secondo stime ufficiali, riportate da RSI, a visitare i siti ascrivibili a quest’epoca, sono stati nel 2024 circa 2 miliardi di persone, con una crescita di più di un miliardo di visite l’anno tra il 2013 e il 2024, anni durante i quali, la Repubblica Popolare ha investito circa 9 miliardi di yuan (più di 1 miliardo di euro) per ottenere tali risultati.
Notizie analoghe provengono anche da altre aree geografiche: l’Egitto ha recentemente inaugurato il Grand Egyptian Museum, i cui lavori di realizzazione, durati circa 20 anni, hanno richiesto, secondo alcune fonti internazionali, un investimento che supera il miliardo di dollari, e hanno riguardato non solo la struttura del Museo, ma l’intera area in cui il Museo sorge, con l’obiettivo di creare un attrattore turistico internazionale.
Altrettanto noti sono gli investimenti volti a stimolare il turismo regionale negli Emirati Arabi Uniti, in Russia, e in tutto il medio-oriente e il sud-est asiatico, come tra l’altro dimostra la dilagante attenzione che gli stessi italiani stanno nutrendo nei riguardi del Giappone negli ultimi anni, che ha registrato tra gennaio ed agosto del 2025, un incremento degli arrivi italiani pari al +33,4%.
Molto spesso si stratta di investimenti volti a stimolare il turismo domestico (come nel caso della Cina), o comunque sono volti ad attrarre turisti dalle regioni geografiche di appartenenza.
Se si tiene conto, tuttavia, che tali investimenti riguardano alcune delle regioni più popolose del mondo, allora appare chiaro che gli impatti di tali investimenti potrebbe in ogni caso coinvolgere anche i nostri flussi in entrata.
Anzi, pur restando ottimisti sulla capacità di fascinazione che il nostro Paese esercita sulle altre culture, è in ogni caso “improbabile” che l’insieme aggregato di tali investimenti non coinvolga in alcun modo l’Italia nel medio o nel lungo periodo.
Questa condizione, oltre a coinvolgere tantissimi comparti produttivi del nostro Paese, andrebbe altresì ad inficiare le performance che il nostro sistema culturale sta registrando negli ultimi anni.
Performance che, ed è questo il nodo critico, sono state spesso registrate grazie all’imponente flusso di turisti che hanno recentemente varcato i nostri confini.
In questo scenario, è essenziale che il nostro Paese si doti di una strategia di progressivo consolidamento del rapporto con i cittadini.
È essenziale in primo luogo perché, guardando alle sole dimensioni culturali, e analizzando le modalità di visita, sono proprio i cittadini che possono realmente beneficiare dell’importanza di quell’eredità che quest’Italia ha ricevuto dal proprio passato.
Ma lo è anche perché sotto il profilo economico-finanziario, nemmeno le cifre record di questi anni hanno garantito una reale autonomia finanziaria del nostro sistema culturale.
Se quindi tale strategia è necessaria, è ancor più essenziale che tale strategia venga sviluppata e avviata già da subito, contrastando l’attitudine nostrana a procrastinare le scelte fino all’insorgere dell’emergenza.
Un calo turistico, infatti, potrebbe generare una crisi economica significativa in moltissimi comparti ad alta componente privata: il che significherebbe, per intenderci, una serie di impegni straordinari da parte del nostro Paese per far fronte alle implicazioni sociali che da tale calo turistico potrebbero originare.
A fronte di ciò, per comprendere quanto sia realmente urgente una strategia di consolidamento culturale, basta rispondere a questa domanda: quanto è probabile che in tali condizioni di crisi, l’Italia trovi risorse straordinarie per il Patrimonio Culturale, malgrado la pressione sociale, sindacale e politica degli operatori del comparto incoming, degli operatori dei trasporti, degli operatori della ristorazione e dei cittadini che negli ultimi anni hanno trovato nei B&B una nuova forma di reddito integrativa?
Esatto.
È proprio così urgente.
















