La sua matita ha tratteggiato i riflessi ironici dei protagonisti politici di 50 anni d’Italia. E la satira che ne è scaturita ha dissacrato e reso il potere meno distante dai cittadini. Il ricordo di Gianfranco D’Anna
Chissà se fra le sue vignette inedite, Giorgio Forattini non ne ha lasciato una autoironica e beffarda con la quale si prende gioco della morte, disegnandosi a cavalcioni del suo feretro con la matita sguainata come una sciabola, il sorriso impenetrabile e lo sguardo rivolto verso l’infinito.
“Senza falsa modestia, dopo Guareschi credo di venire io nella classifica dei protagonisti della satira italiana dell’ultimo secolo”, era la frase che ripeteva spesso e che ora riassume l’oltre mezzo secolo di attività di uno dei più grandi maestri della satira politica del Novecento, dotato di un originalissimo tratto ironico, tranchant, caustico, che andava dritto al punto debole dei protagonisti di turno di ogni tipo di potere, senza alcun timore riverenziale o sudditanza psicologica.
Le sue vignette hanno cambiato il modo di fare satira in Italia e furono le prime ad essere pubblicate in prima pagina sui giornali a cadenza quotidiana.
Uno dei principali motivi del successo di Forattini è stato proprio la caratterizzazione macchiettistica e irriverente dei politici: Giovanni Goria invisibile, Piero Fassino scheletrino, Craxi in camicia nera e con la mascella mussoliniana, D’Alema con baffetti alla Hitler, Enrico Berlinguer in vestaglia mentre sorseggia un the, Spadolini nudo coperto solo da una foglia di edera, Giuliano Amato come Topolino, Silvio Berlusconi e Amintore Fanfani raffigurati come tappi, Walter Veltroni come un bruco, Lamberto Dini come un rospo, Rocco Buttiglione come una scimmia, Nicola Mancino come un cinghiale, Luciano Violante come una volpe, Romano Prodi come un prete comunista, Umberto Bossi come Pluto, Vincenzo Visco come un vampiro, Carlo Azeglio Ciampi come un cagnolino, Rosa Russo Jervolino come una gallina, Achille Occhetto come Charlie Brown.
Terribile in particolare la vignetta con la quale il 23 maggio del 1992, dopo la strage mafiosa di Capaci in cui vennero trucidati Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti di scorta, ritrasse la Sicilia come una testa di un coccodrillo che piange sull’eccidio.
Vignette al vetriolo, pubblicate nel corso di cinquanta anni su vari quotidiani, Paese Sera, La Repubblica, La Stampa, Il Giornale, QN, L’Espresso e Panorama, e che non risparmiarono neanche Eugenio Scalfari il direttore di Repubblica, il suo giornale dell’epoca.
Vignette che non hanno fatto solo sorridere, ma anche arrabbiare molti esponenti politici presi di mira. E non sono state solo polemiche. In venti casi il disegnatore è stato anche querelato, ma specificò “solo da esponenti della sinistra”. E in una intervista del 2008 spiegò che “la sinistra non accetta la satira quando le è rivolta contro”.
Personalità impetuosa e geniale che dava ad ogni vignetta la forza di un editoriale, Forattini ha segnato con un tratto di matita la sua vita e la storia.
















