Nel mondo contemporaneo, la guerra non ha più confini netti: militare, economica, cibernetica e informatica si intrecciano in un confronto costante e senza regole. Per affrontare la complessità della guerra ibrida serve un coordinamento nazionale che integri risorse civili e militari, pubbliche e private, guidato dall’intelligenza artificiale. Solo una struttura flessibile e multidominio può garantire sicurezza e resilienza al Paese. L’analisi del generale Pietro Serino
Nel presente momento storico, il confronto tra Nazioni o Alleanze, per effetto della cosiddetta guerra ibrida, è diventato permanente.
Senza entrare in tecnicismi e cercando di restare comprensibili, la guerra ibrida combina modalità convenzionali – la guerra classica combattuta con strumenti militari – con modalità irregolari e non convenzionali; in poche parole, nella guerra ibrida non esistono regole, come nel Rollerball, per chi ricorda un vecchio film del 1975, ed ogni ambito di attività umana è utilizzato per conseguire i propri scopi ed obiettivi. Alla caratteristica di agire ovunque e comunque, la guerra ibrida ne aggiunge un’altra: ricerca modalità d’azione non attribuibili alla Nazione attaccante, in modo da non giustificare una reazione diretta da parte dell’aggredito.
Quest’ultimo aspetto è particolarmente efficace quando lo si colloca nella prospettiva della propaganda e della disinformazione; infatti, consente all’aggressore di recitare la parte della vittima in presenza di una eventuale reazione dell’aggredito, sviluppando una propria contro-narrativa.
Una guerra così complessa e totalizzante richiede risposte globali e coordinate da parte di chi ne è vittima. La guerra ibrida non riguarda i soli militari ma l’intera Nazione che ne è oggetto. L’insieme delle risorse, civili e militari, pubbliche e private, devono essere coordinate per fornire risposte efficaci.
In tale prospettiva, l’esperienza che le Forze Armate stanno vivendo per governare lo scenario multidominio può tornare particolarmente utile.
Le operazioni multidominio sono la naturale evoluzione delle operazioni tridimensionali (joint nella terminologia anglosassone), dovuta al prepotente ingresso in campo del dominio cibernetico, la cui immaterialità ha indissolubilmente legato i domini fisici classici e nuovi, come lo spazio ed il subacqueo. Mentre nelle operazioni joint, le componenti dello strumento militare operano prevalentemente convergendo sullo stesso obiettivo e supportandosi reciprocamente, nelle operazioni multidominio esse devono operare come un’entità unica, perché nel nuovo contesto il rischio di interazioni non volute, di interferenze e di danni reciproci è molto alto. Sono concetti ben noti a chi, già nel passato, si è occupato di guerra elettronica, che si sviluppa in uno spazio immateriale, proprio come quello cyber.
Per comprendere meglio, guardiamo a quelle che i militari chiamano modalità di coordinamento, cioè le misure che vengono poste in atto per coordinarsi e per evitare di auto-danneggiarsi.
Esse, di fatto, sono limitazioni alla libertà d’azione delle singole componenti dello strumento militare, poste per evitare incidenti tra le stesse. Maggiore è la complessità della manovra operativa, maggiore è il numero di assetti che operano e più invasive sono le misure di coordinamento. Pensiamo alla saturazione dello spazio aereo dovuta all’uso massivo di droni e di missili a media e lunga gittata; senza misure di coordinamento sarebbe semplicemente il caos. In sintesi, lo strumento multidominio, se non governato nella fase di sviluppo dell’azione con modalità innovative, non può esprimersi al massimo delle sue enormi potenzialità.
La risposta a questa sfida risiede nell’affidare il coordinamento delle azioni all’Intelligenza Artificiale. L’AI, con le sue capacità di analisi ed elaborazione dei dati e di auto-apprendimento, combinate con la velocità di risposta, è l’unica a poter gestire la complessità di una manovra operativa che si sviluppa nei 6 domini contemporaneamente. L’AI può essere di grandissimo ausilio nella fase di sviluppo del piano, ma la differenza vera la farà in quella che i militari chiamano fase di condotta, là dove la velocità di reazione alle situazioni non previste e inaspettate conta davvero.
Se torniamo a guardare alla guerra ibrida, proprio in virtù delle sue caratteristiche, il numero di domini coinvolti aumenta a dismisura. Basta pensare alla sfera economica, a quella tecnologica, a quella dei flussi delle risorse rare ed energetiche, agli effetti che si possono generare controllando l’immigrazione irregolare, gestendo i traffici illeciti e, per finire, attraverso la diffusione deliberata di agenti patogeni. Tutti ambiti che interagiscono tra loro e che possono mettere in crisi una Nazione e destabilizzare un Governo.
Con la guerra ibrida, la difesa e la sicurezza di un Paese ha smesso di essere un fatto prevalentemente militare ed è divenuta un problema permanente, intergovernativo e pluridominio.
Si ripropone, quindi, l’esigenza di una cabina di regia unica, attestata alla presidenza del Consiglio dei Ministri, sul modello del National security council statunitense; una struttura di indirizzo e di coordinamento politico, in grado di mobilitare le risorse civili e militari, pubbliche e private del Paese. Il Consiglio nazionale dovrebbe essere supportato da un Centro operativo, permanentemente attivato, destinato a monitorare la situazione e dirigere le risposte. All’interno di questo Centro dovrebbero essere presenti tutti gli enti che possono concorrere alla risposta ad un attacco ibrido comunque portato; quindi Forze armate, Forze dell’ordine, Protezione civile, Agenzie di intelligence, Acn, enti gestori delle infrastrutture strategiche del Paese, grandi gruppi industriali e così via. L’analisi dei dati situazionali, la valutazione di efficacia delle possibili risposte ed il coordinamento delle azioni poste in essere nei diversi domini sarebbe affidato ad un sistema di comando e controllo basato sull’Intelligenza Artificiale, proprio per la complessità della struttura e del compito ad essa affidato. Infatti, la molteplicità delle forme di attacco ibrido comportano cicli decisionali contemporanei in numerosi campi, con una significativa possibilità che le azioni intraprese interferiscano tra loro e diano origine a conseguenze non volute, anche dannose. La numerosità delle interrelazioni ed i serrati tempi di risposta non consentono sempre l’applicazione di procedure con l’intervento attivo dell’operatore umano, rendendo il ricorso all’AI indispensabile. Il ruolo del decisore umano rimarrà comunque essenziale nel controllo di come il piano di contrasto si sviluppa ed evolve nel tempo, intervenendo dove necessario per reindirizzare le attività in corso e bloccare azioni non lecite/autorizzate (i militari lo definiscono Red card holder).
Ovviamente un organismo di tale complessità dovrà avere una struttura incrementabile ed adattabile, sulla base delle esigenze che si presentano e delle esperienze fatte sul campo.
Una minaccia che evolve in continuazione, per essere contrastata ha bisogno di questo: un’organizzazione flessibile, che assicuri sinergia e coordinazione, capace di intervenire efficacemente all’interno di un numero di domini non definibile a priori.
Combattere la guerra ibrida significa essere in grado di condurre operazioni pluridominio. Gestire questa complessità è la sfida di un moderno e affidabile sistema di sicurezza e difesa.















