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Phisikk du role – Giustizia vo ancora cercando. Ch’è sì cara

Archiviata in Parlamento la riforma costituzionale della giustizia, il dibattito si sposta ora sul referendum che deciderà la sorte della separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri. Pisicchio ricorda come la riforma Vassalli del 1989 avesse introdotto principi più garantisti, ma lasciato irrisolti nodi cruciali come l’equilibrio tra accusa e difesa. Oggi il tema torna al centro dello scontro politico e mediatico, con un’opinione pubblica incline a limitare il potere dei pm, percepiti come poco terzi. Il referendum, privo di quorum, si annuncia quindi come una sfida aperta per partiti e cittadini 

Chiuso il capitolo parlamentare della riforma costituzionale della giustizia, con dentro la vexata quaestio della separazione delle carriere, adesso prepariamoci a dedicare, per la durata dei mesi che ci divideranno dal referendum, almeno una giaculatoria quotidiana di attenzione allo scontro tra gli “opposti estremismi” nei talk show televisivi, rubacchiando un po’ di spazio agli ultras di Trump e Netanyahu versus Propal e all’estenuante cold case di Garlasco, che pure un pm in mezzo ce lo mette.

Cercando, però, di chiarire di che stiamo parlando, partendo da una data importante, il 1989 e dalla riforma del codice di procedura penale.

Partendo dal clima di apertura liberale e garantista che in quella stagione attraversava la cultura giuridica, il sentiment popolare, la politica, e che veniva ben interpretato del fautore della riforma, uno dei maggiori punti di riferimento del diritto penale italiano, in dottrina e nella professione, di nome Giuliano Vassalli, socialista riformista, grande amico di Aldo Moro, anch’egli maestro di diritto penale.

Prima della riforma Vassalli il processo penale si ispirava ad un impianto inquisitorio, che vedeva il pubblico ministero investito del ruolo di costruttore della prova, sostanzialmente condivisa dal giudice istruttore, e dunque scodellata nel dibattimento senza possibilità di modifica attraverso un confronto con la difesa.

La riforma dell’89 modifica quella postura “autoritaria” dando accesso ad una dialettica tra pm e difesa nella fase precedente al dibattimento: un’epifania di impianto accusatorio, che ogni lettore dei legal thriller di Grisham, ed ogni appassionato cinefilo ben conosce.

Si guardò, in sostanza, alla triangolazione di tipo americano: il Giudice imparziale tra le parti che sono il Procuratore e l’avvocato difensore.

Non era proprio come nei film americani, però, perché la riforma Vassalli andava completata con interventi di sostanza, come ebbe a ricordare Falcone, rammentando che sarebbe apparso necessario ragionare sulla persistenza dell’obbligatorietà dell’azione penale e dell’unicità delle carriere tra pm e giudice.

Tra le incompiute resta la questione della durevole diseguaglianza tra i due “pari” del rapporto triadico che si chiude col giudice: il difensore e l’accusatore, oggi ancora troppo squilibrato a danno del difensore e dunque non proiettato verso l’obiettivo della verità processuale dei fatti, bensì verso la conferma dell’impianto inquisitorio pre-riforma.

Sorge spontanea la domanda: potrebbe la separazione delle carriere tra pm e giudice agevolare il riequilibrio oggi compromesso tra le parti nel processo penale?

Pur non enfatizzando più di tanto il rimedio, riterremmo comunque di sì, perché teoricamente contrasterebbe l’indistinzione tra ruoli magistratuali oggi presenti persino nella percezione della pubblica opinione.

Probabilmente esistevano anche altre modalità, ancora più appropriate: penso, per esempio, all’unificazione delle carriere tra pubblico accusatore e avvocato difensore, che attendono, da posizioni opposte, alla stessa materia nell’ attività processuale, l’una destruens e l’altra costruens (o viceversa).

Adesso, però, il referendum costituzionale riguarderà la riforma appena approvata dal Parlamento.

Com’è noto questo referendum non prevede il quorum, per cui se vince il si, quale che possa essere la partecipazione, la legge viene promulgata, se vince il no decade.

A naso la maggioranza degli italiani è per fare qualcosa che limiti in qualche modo l’ambito di azione dei pm, seguendo il filo della cronaca poco rassicurante sulla terzietà anche in contesti processuali come quello già richiamato di Garlasco.

Perché, in fondo, nello stomaco degli italiani trova un suo spazio, accanto ai veleni quotidiani, anche l’aforisma di Borges che diceva: “Per aver paura dei magistrati non è necessario essere colpevoli”.

Ma questo tipo di referendum è fatto per i partiti e i movimenti organizzati e funziona meno con l’elettorato d’opinione. Dunque, Borges o no, la partita è aperta.


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