La Cgil ha deciso di proclamare uno sciopero generale contro la legge di bilancio del governo. Non ci sarà la Uil e si svolgerà un giorno prima dell’iniziativa indetta dalla Cisl, che il 13 dicembre scenderà in piazza a Roma per sostenere il “Patto per la Responsabilità”. Gianfranco Polillo commenta le scelte dei sindacati
Meglio soli che male accompagnati? Ma questo vecchio adagio riguarda anche la Cgil di Maurizio Landini, quando compagni di viaggio dovrebbero essere, almeno, le altre organizzazioni sindacali? Domanda più che imbarazzante, considerata la lunga storia del movimento sindacale italiano. Quella faticosa ricerca di unità che, negli anni più duri della vicenda politica italiana, aveva sempre prodotto quel valore aggiunto indispensabile per dare ai più deboli una prospettiva di vita migliore.
Ricordi che tristemente appartengono al passato. La nouvelle vague è invece il poco splendido isolamento che si accompagna inevitabilmente ad una piattaforma politica quanto meno velleitaria, se non addirittura controproducente. Il che spiega la scelta del venerdì, come giorno per proclamare uno sciopero generale contro la legge di bilancio. Se i lavoratori devono perdere una giornata di lavoro, in vista non si sa bene di quale risultato, che almeno si godano un week end più lungo. E lo facciano mentre gli iscritti alla Cisl, Uil o gli stessi Cobas saranno invece costretti a lavorare.
Interessante è notare quanto diverso sia l’orientamento delle altre Organizzazioni sindacali. La Cisl aveva già programmato per il giorno successivo – sabato 13 dicembre – una propria manifestazione nazionale per sostenere il Patto della responsabilità. Il rilancio di una piattaforma riformista necessaria per affrontare le grandi emergenze del Paese: dalla mancata crescita di questi lunghi anni all’esaurirsi degli effetti del Pnrr, al cui positivo impatto si deve quel po’ di risultati conseguiti in termini di maggiore sviluppo complessivo. E senza il quale la stagnazione sarebbe stata ancora più dolorosa.
La manovra di bilancio all’interno di uno schema interpretativo della realtà italiana, più che datato (risale al 2014), non può che operare al margine. Con le poche risorse disponibili fare fronte ai tanti problemi della società italiana. Daniela Fumarola, leader della Cisl, ne è consapevole. Si batte, quindi, contro l’ulteriore rottamazione delle cartelle esattoriali – pallino della Lega – ma sollecita, al tempo stesso di rifinanziare il fondo per la legge sulla partecipazione, di circoscrivere la detassazione degli aumenti contrattuali ai contratti firmati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative, di destinare più risorse a scuola, università e ricerca e di ripristinare l’Opzione donna.
Stesso realismo nella posizione di Pierpaolo Bombardieri, della Uil, che guarda con il necessario disincanto alla manovra di Giorgetti. Bene la detassazione degli aumenti contrattuali, una proposta da tempo sostenuta dal sindacato, anche se il limite dei 28 mila euro è troppo basso. Critico invece su tutta la partita del fisco, pensioni e sanità. Se ne discuterà ancora a partire dal confronto di lunedì prossimo, a Milano, per il Forum delle relazioni industriali promosso da Confindustria e Assolombarda. Nel frattempo, tuttavia, meglio staccarsi dal carro della Cgil, prevedendo fin da ora una specifica manifestazione da indire per la fine di novembre ed i primi di dicembre.
Di fronte a scelte così ponderate, la piattaforma della Cgil è figlia di un massimalismo senza costrutto. Un affastellarsi di proposte prive di un centro gravitazionale. Lapidario il giudizio complessivo: “Manovra ingiusta, sbagliata” che “vogliamo cambiare”. Le ragioni? “Chiediamo che ci siano risorse aggiuntive – ha gridato Landini – perché il rinnovo del contratto dei pubblici dipendenti sia una cosa seria e non una mancia”. Vogliamo “che ci sia una detassazione che riguardi tutti i contratti pubblici e privati, senza tetti di reddito per tutti i lavoratori e per tutte le lavoratrici”. Ci batteremo affinché “venga restituito il fiscal drag: lavoratori, dipendenti e pensionati in questi ultimi 3 anni hanno pagato 25 miliardi di tasse in più solo perché di fronte all’aumento dei prezzi e dell’inflazione non sono stati rivalutati automaticamente le detrazioni e gli scaglioni”.
Basterebbe avere a disposizione una semplice calcolatrice per misurare l’entità dello sforzo finanziario necessario per soddisfare ciascuna di queste proposte. Senza contare poi le maggiori risorse richieste per sanità, scuola, istruzione e la non autosufficienza. Consapevole di questa contraddizione, è lo stesso Landini che propone un contributo di solidarietà dell’1% a carico dei presunti paperoni – cittadini con una ricchezza pro capite pari a 2 milioni di euro – per ottenere “26 miliardi da investire nella sanità, per le assunzioni, sulla scuola, per aumentare gli stipendi a tutte le persone.” Ma quando mai? Se anche fosse, da questa proposta si potrebbero ricavare, al più, qualche milione di euro. Altro che i 26 miliardi sbandierati!
Ma fosse solo questo il punto di dissenso. Landini è riuscito a farsi smentire dalla stessa Banca d’Italia, nella sua recente audizione sulla legge di bilancio, che pure non era stata tenera con il governo. A proposito del fiscal drag, nell’intervento, è stato precisato che, nel periodo 2022-25, “la differenza tra l’effetto delle misure di sostegno (rivolte principalmente ai redditi medio-bassi) e quelli del drenaggio fiscale e dell’erosione dei trasferimenti (che hanno inciso in modo più uniforme) è maggiore per i primi quattro quinti della distribuzione del reddito”. Calcoli che smentiscono nettamente l’accusa di un maggior drenaggio fiscale pari a 25 miliardi di euro a carico dei più fragili.
Ancora più puntuale la critica rispetto ad una richiesta che era centrale nell’intervento del Segretario della Cgil. L’idea cioè che la manovra di bilancio avrebbe dovuto contribuire ad un aumento generalizzato dei salari e degli stipendi.
“È improprio – osserva la Banca d’Italia – assegnare al bilancio pubblico il compito di recuperare il potere d’acquisto perduto dai lavoratori, soprattutto quando la redditività delle imprese può consentire che questo avvenga attraverso la contrattazione. In prospettiva, la crescita dei salari reali non può che essere sostenuta da un sistema di relazioni industriali ben funzionante e da un rilancio della produttività del lavoro (che si è ridotta di oltre un punto percentuale dalla fine del 2019)”. Se non propio un epitaffio, poco ci manca.
















