La Cina ha sospeso il divieto di esportazione verso gli Stati Uniti di una serie di metalli e materiali strategici — tra cui gallio, antimonio e germanio — segnando un importante gesto di distensione nel contesto della guerra commerciale e tecnologica con Washington
La decisione, annunciata il 7 novembre e valida fino al 10 novembre 2026, arriva dopo mesi di tensioni legate ai dazi e alle restrizioni reciproche su semiconduttori e tecnologie avanzate.
Pechino sospende il blocco dei metalli rari verso gli Stati Uniti
La mossa, comunicata dal ministero del Commercio (Mofcom), sospende l’attuazione di sei provvedimenti — tra cui gli annunci emessi congiuntamente con l’Amministrazione generale delle dogane — che introducevano severi controlli sull’export di materiali strategici. Oltre ai metalli rari come gallio, germanio e antimonio, la sospensione riguarda anche materiali superduri, batterie al litio e grafite sintetica, fondamentali per la produzione di chip, veicoli elettrici e componenti energetiche avanzate.
Il divieto originario, annunciato il 9 ottobre, era stato interpretato come una risposta diretta ai dazi imposti da Washington e alle restrizioni sull’export di semiconduttori verso aziende cinesi. La decisione di Pechino di sospendere tali misure suggerisce ora un tentativo di riequilibrare la relazione economica con gli Stati Uniti, in un momento in cui entrambi i Paesi cercano di evitare un’escalation commerciale che danneggerebbe le rispettive filiere industriali.
Oltre la sospensione: Pechino prepara un nuovo regime di licenze
Dietro la sospensione annunciata dal Mofcom, la Cina sta già lavorando a un nuovo regime di licenze per l’export di terre rare, pensato per velocizzare le spedizioni ma non per eliminare del tutto i controlli. Secondo fonti industriali citate da Reuters, il ministero ha informato alcune aziende esportatrici che potranno in futuro richiedere permessi semplificati di durata annuale, validi per volumi potenzialmente più ampi rispetto al passato.
Il nuovo sistema, tuttavia, non rappresenta un ritorno al libero mercato delle terre rare. Le licenze resteranno più difficili da ottenere per gli utilizzatori collegati ai settori della difesa o ad applicazioni sensibili, e Pechino manterrà la possibilità di modulare tempi e autorizzazioni come strumento di pressione strategica.
Le restrizioni introdotte ad aprile e ampliate in ottobre obbligavano gli esportatori a richiedere un permesso per ogni singolo carico, un processo complesso che aveva rallentato le forniture e causato carenze in segmenti chiave, come l’industria automobilistica e quella dei semiconduttori. Delle circa duemila richieste presentate dalle imprese europee, solo poco più della metà sarebbe stata approvata.
Un equilibrio precario tra apertura e controllo
Il nuovo schema di licenze, valido per un anno, riflette un equilibrio tattico: da un lato la volontà di Pechino di allentare la tensione dopo l’accordo raggiunto tra Donald Trump e Xi Jinping; dall’altro la necessità di non rinunciare a uno degli strumenti di leva più efficaci nella competizione tecnologica con Washington.
Le terre rare — di cui la Cina controlla oltre il 90% della produzione mondiale e quasi tutta la capacità di raffinazione — restano infatti una risorsa strategica per applicazioni civili e militari, dai veicoli elettrici ai missili guidati. In questo senso, la sospensione delle restrizioni e l’introduzione di licenze generalizzate non segnano la fine del controllo cinese, ma piuttosto il passaggio a una gestione più flessibile e politicamente calibrata delle forniture globali.
La mossa di Pechino va letta come una tregua tattica, non come un disinnesco strategico. La Cina intende mantenere il controllo su un settore cruciale per la transizione energetica e la difesa, ma mostra la volontà di attenuare lo scontro commerciale con Washington. Il messaggio implicito è chiaro: Pechino resta aperta al dialogo, ma le materie prime che alimentano l’economia tecnologica globale continueranno a essere anche una leva di potere geopolitico.















