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Vi racconto la dimensione cognitiva del conflitto russo-ucraino. Scrive Caruso

Di Ivan Caruso

Attraverso disinformazione massiva e manipolazione emotiva, Mosca diffonde la narrativa secondo cui la resistenza ucraina sarebbe inutile di fronte alla superiorità militare, demografica ed economica russa. Il messaggio è chiaro: meglio negoziare e accettare la realpolitik piuttosto che difendere principi come sovranità, diritto internazionale e autodeterminazione. L’analisi del generale Ivan Caruso, consigliere militare della Sioi

Quasi quattro anni dall’invasione russa dell’Ucraina, l’Europa si trova al centro di una guerra che va oltre i confini del Donbass. La Russia ha perfezionato per oltre un decennio il suo arsenale di guerra ibrida, sviluppando tattiche inizialmente testate in Ucraina dal 2014 e intensificate dopo il febbraio 2022. Oggi assistiamo quotidianamente a incursioni di droni su Stati europei, attacchi cyber, sabotaggi e tentativi deliberati di destabilizzare le democrazie occidentali.

Ma la minaccia più insidiosa si combatte nella mente. L’obiettivo di Mosca è frammentare la resilienza cognitiva del blocco euro-atlantico attraverso una campagna asimmetrica di disinformazione e manipolazione emotiva. Operazioni sofisticate come quelle della Social Design Agency hanno creato versioni clone di siti istituzionali e testate giornalistiche europee per diffondere notizie alterate, rendendo indistinguibile la fonte autentica da quella manipolata.

La narrativa che si sta diffondendo è subdola quanto efficace: l’Ucraina dovrebbe arrendersi perché la Russia è troppo potente. Meglio negoziare, accettare la “realpolitik”, legittimare l’aggressore. Questa guerra cognitiva punta alle debolezze umane: la paura, la stanchezza, lo scarso attaccamento ai valori democratici. La guerra cognitiva russa mira a influenzare ragionamento e decisioni per conseguire obiettivi strategici senza combattere o con uno sforzo militare ridotto.

Ma la Storia – quella con la S maiuscola – ci insegna che i calcoli di convenienza non sono tutto. Alle Termopili, 300 spartani di Leonida affrontarono l’immenso esercito persiano di Serse, non per vincere ma per difendere la libertà greca e rallentare l’invasore, permettendo alla Grecia di organizzarsi e prevalere. Roma, dopo la devastante sconfitta di Canne dove Annibale annientò otto legioni, non si arrese. Persistette fino alla vittoria finale di Zama. Vienna resistette all’assedio ottomano quando sembrava destinata a cadere, e la successiva battaglia di Zenta del principe Eugenio di Savoia cambiò gli equilibri europei.

Il parallelismo più forte è con Churchill nel 1940, quando la Gran Bretagna, isolata dopo la caduta della Francia, rifiutò ogni negoziato con Hitler. “Non ci arrenderemo mai”, tuonò alla Camera dei Comuni, “combatteremo sulle spiagge, combatteremo sui campi di atterraggio, combatteremo nei campi e nelle strade, combatteremo sulle colline. Non ci arrenderemo mai”. Quella scelta salvò la democrazia europea. Avrebbe potuto calcolare le forze in campo e accettare una pace che era solo una resa mascherata. Scelse invece di resistere, ispirando il mondo libero.

A dimostrazione dell’attualità di questo tipo di minacce, il Consiglio Supremo di Difesa italiano, convocato per il 17 novembre 2025, discuterà proprio delle minacce ibride con riferimento alla dimensione cognitiva. Come ha affermato il presidente finlandese Alexander Stubb, l’Ucraina non sta lottando solo per la propria indipendenza: questa è una lotta per l’ordine mondiale basato su istituzioni, regole e norme internazionali, perché se viviamo in un mondo dove la forza prevale sul diritto, viviamo in un mondo senza legge.

Non possiamo permettere che la propaganda russa ci convinca dell’inutilità della resistenza ucraina. Cedere oggi all’aggressione significa legittimare la legge del più forte, smantellare il diritto internazionale, condannare l’Europa a futuri ricatti. I valori – democrazia, autodeterminazione, stato di diritto – non sono optional da sacrificare al primo calcolo di convenienza. La storia la fanno coloro che dicono no quando tutti si inchinerebbero. L’Ucraina oggi è nelle Termopili dell’Europa. E noi dobbiamo decidere se essere degni di quella lezione.


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