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Dc, l’appello per salvare la memoria (e il simbolo). La proposta di Rotondi

Alcuni ex big della Democrazia cristiana si scagliano contro chi, in questa fase storica, utilizza il simbolo della Balena Bianca. L’appello è quello di smetterla di offendere una memoria complessa e storicamente fondamentale per il Paese. Gianfranco Rotondi, a poche ore di distanza, rilancia l’idea di donare il simbolo all’Istituto Sturzo

Quando la memoria diventa campo di battaglia, il simbolo rischia di trasformarsi in reliquia contesa.

È esattamente ciò che sta accadendo attorno allo scudo crociato, tornato al centro di una disputa che coinvolge pezzi storici della Prima Repubblica e protagonisti della lunga diaspora democristiana. Prima l’affondo degli ex big — Paolo Cirino Pomicino, Giuseppe Gargani, Calogero Mannino, Ortensio Zecchino e Vito Bonsignore — poi la mossa di Gianfranco Rotondi, che sposta l’asticella ancora più in là. Dentro questa sequenza si consuma l’ennesimo capitolo di una saga politica che sembra non trovare pace.

Il fronte degli ex Dc non usa giri di parole: chi oggi sfoggia nome e simbolo della Democrazia Cristiana “offende la memoria del più grande partito della Repubblica”.

Parole pesanti, indirizzate a quelle sigle considerate “scappate di casa”, colpevoli — a detta dei firmatari — di utilizzare lo scudo come marchio identitario senza possederne né il peso storico né la legittimazione politica.

L’accusa non riguarda solo la disputa simbolica, ma anche la sostanza: risultati elettorali risibili, “tra l’1 e il 2%”, e una “totale assenza di vita democratica” interna. Una fotografia impietosa che restituisce l’idea di un brand svuotato e maltrattato.

A distanza di poche ore arriva la sponda di Gianfranco Rotondi, che in realtà va oltre la polemica contingente.

Il deputato di Fratelli d’Italia, presidente della “Dc con Rotondi”, accoglie l’appello dei leader storici e parla apertamente di “profanazione” nell’uso delle antiche effigi. Ricorda di aver scelto di non utilizzare né il nome né lo scudo, limitandosi al proprio cognome nel simbolo elettorale.

Un gesto di pragmatismo ma anche di rispetto: non basta evocare la Dc per replicarne il peso che ebbe nella storia repubblicana.

E per dimostrare la vacuità della contesa porta un dato ironico e rivelatore: in Campania la sua lista ha totalizzato “gli stessi voti (pochi)” di chi continua ad aggrapparsi allo scudo.

È però la proposta finale a segnare un salto di qualità nel dibattito: Rotondi si dice pronto a sostenere l’idea di trasferire nome e simbolo della Democrazia Cristiana all’Istituto Sturzo — o a una fondazione — così da sottrarli alla competizione tra micro–partiti e riconsegnarli a un luogo di custodia storica.

Un modo per chiudere una fase ventennale di rivendicazioni e riportare lo scudo crociato nel recinto della memoria condivisa, anziché in quello dell’uso politico contingente.

Resta ora da capire se gli eredi sparsi della galassia democristiana sapranno cogliere questa occasione di pacificazione, o se anche questo capitolo finirà per aggiungersi all’interminabile elenco di tentativi falliti.

Perché lo scudo, per molti, non è solo un simbolo: è un pezzo di Paese. E proprio per questo continua a dividere.


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