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Chi se lo aspettava un giro di vite su quel maledetto imbroglio della flessibilità in uscita del pensionamento da un governo di destra, di cui è vice presidente del consiglio e autorevole ministro quel Matteo Salvini che l’aveva giurata alla riforma Fornero? Eppure se non ci saranno modifiche in corso d’opera, le prime bozze che circolano del disegno di legge (ddl) di bilancio per il 2024 è rivolto – con un’inversione rispetto al passato anche recente – non a favorire, ma a ridurre le possibilità di uscita anticipata.

Più o meno cinque anni or sono, il governo gialloverde, col pretesto di spalancare le porte delle aziende ai giovani in sostituzione degli anziani in grado di ritirarsi anticipatamente, aveva inventato due misure: la prima, strombazzata in tutti i talk show, ripristinava il meccanismo delle quote, inventato dall’ultimo governo Prodi; la seconda, più insidiosa ma meno compresa e messa in evidenza nel dibattito, consisteva nel blocco fino a tutto il 2026 dell’adeguamento automatico dei requisiti pensionistici all’incremento dell’attesa di vita, che aveva stabilizzato per anni il pensionamento anticipato ordinario, a prescindere dall’età anagrafica, a 42 anni e 10 mesi di anzianità contributiva per gli uomini e a un anno in meno per le donne.

Il regime delle quote poi ha preso la mano al legislatore, è divenuto una sorta di labirinto da cui non riesce ad uscire. Così da quota 100 (62 anni + 38 di contributi), si è passati a quota 102 (64 anni + 38 di contributi), e ancora a quota 103 (62 anni e 41 di contributi); l’ultima novità sarà quota 104 (63 anni e 41 di contributi). Perché – è bene che si sappia – 41 è un numero della cabala di Salvini e deve essere comunque presente in qualche norma perché il Capitano possa giocarlo al Lotto.

Il fatto è che il meccanismo delle quote – adottato per ritardare l’applicazione della riforma Fornero – ha finito per rendere più difficile l’accesso al pensionamento. Il motivo più che semplice e persino banale. E il difetto lo si era già riscontrato con quota 100, per ampliarsi con l’evoluzione delle quote. Il sistema infatti è tutt’altro che flessibile, perché i due parametri non vanno sommati ma realizzati entrambi. Quindi era illusorio pensare che i due requisiti, entrambi essenziali, si verificassero nel medesimo tempo. Nella maggioranza dei casi è capitato che quanti avevano maturato 38 anni di versamenti non ne avessero ancora compiuto 62 di età o che i 62enni non avessero ancora da far valere 38 anni di contribuzione. Ed è evidente che se si deve continuare a lavorare per maturare uno dei requisiti, si incrementa anche l’altro.

Va da sé che con l’incremento dei parametri delle quote questa contraddizione si è allargata. E si è rivelato “funesto” il salto da quota 102 a quota 103, quando a fronte di una di munizione del requisito anagrafico si è portato da 38 anni a 41 quello contributivo. Non ci vuole molto a capire che, nel passaggio tra le due quote, chi nell’anno 2022 non aveva maturato il requisito di 38 anni pur in presenza di un’età anagrafica di 64 anni, si è trovato ad affrontare un nuovo scalone. Tant’è che sono stati in numero maggiore i trattamenti di anzianità ottenuti coi requisiti ordinari a prescindere dall’età anagrafica (42 anni e 10 mesi per gli uomini e un anno in meno per le donne), rispetto a quelli che hanno usufruito delle quote. Sono previste poi delle penalizzazioni economiche, limitatamente alla quota per chi si avvalesse del pensionamento anticipato, mentre non ho trovato conferma degli incentivi a rimanere al lavoro, salvo che non ci si riferisca ad una norma già vigente dalla legge di bilancio 2023 che per una serie di motivi non ha trovato applicazione. Tale norma prevedeva che l’aliquota a carico del lavoratore (il 9%) finisse in busta paga.

In questa materia occorrerà mettere un po’ di ordine visto il convergere di diverse misure: dalla decontribuzione al bonus madri. In generale, anche nel caso di opzione donna e dell’Ape sociale si va verso un allungamento dei tempi della riscossione. È molto significativo il ridimensionamento di un paio di anni per il blocco dei requisiti all’adeguamento all’attesa di vita. Su questa norma pesava un enorme punto interrogativo rispetto a che cosa fare alla sua scadenza, essendo, nel contempo, il meccanismo che garantiva i maggiori risparmi di spesa ma anche il maggior incremento dei requisiti per il pensionamento negli anni a venire. Certo, il blocco ha determinato degli effetti che andranno valutati il 1° gennaio del 2025 quando l’adeguamento automatico dovrebbe ripartire.

Una piccola notazione merita quanto previsto per i trattamenti regolati unicamente dal calcolo contributivo. Mentre vengono facilitati i requisiti per il trattamento di vecchiaia, si inaspriscono quelli del pensionamento anticipato. La vendetta di Montezuma (Elsa Fornero) si proietta così anche nel futuro.

Scheda

In linea generale, le principali novità in arrivo possono essere riassunte nei seguenti punti:

  • si arriva a Quota 104: pensione a 63 anni d’età e 41 di contributi. Penalizzazioni sulla quota nel sistema retributivo (e bonus Maroni?). Finestre d’uscita dilatate;
  • viene confermata Opzione Donna, ma il requisito anagrafico sale a 61 anni, le altre regole restano uguali;
  • conferma anche per Ape Sociale: il requisito anagrafico sale a 63 anni e 5 mesi, invariate le altre condizioni.

La manovra dovrebbe toccare, poi, nei trattamenti sottoposti al regime contributivo anche la pensione di vecchiaia accessibile con 67 anni d’età e 20 di contributi e un importo almeno pari all’assegno sociale e per quanto riguarda la pensione anticipata (64 anni d’età e 20 di contributi), l’importo minimo passa da 2,8 a 3,3 volte quello dell’assegno sociale.

Il paradosso delle quote. Cazzola mette ordine sulle pensioni

Le prime bozze che circolano del disegno di legge di Bilancio per il 2024 è rivolto – con un’inversione rispetto al passato anche recente – non a favorire, ma a ridurre le possibilità di uscita anticipata. Una novità per un governo in cui siede anche Salvini. Ma non solo: il meccanismo delle quote ha preso la mano al legislatore ed è divenuto una sorta di labirinto da cui non riesce a uscire. L’analisi di Giuliano Cazzola

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