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Due scissioni in un giorno sono decisamente troppe anche per un Paese politicamente allo stremo come l’Italia. Dal Pdl e da Scelta civica sono nati se non due partiti (per il momento) due “aggregati” distinti e distanti dalla matrice originaria che se contribuiscono a fare chiarezza in soggetti paralizzati dalla litigiosità quotidiana, certo non apportano benefici considerevoli ad un sistema partitico disastrato quant’altri mai.

Nel Palazzo di Minosse era di certo più agevole ritrovarsi rispetto al labirinto costruito dall’imperizia di fabbricanti d’illusioni spacciatisi a lungo per innovatori. E così da ciò non doveva neppure nascere sono gemmate filiazioni dal destino incerto che tuttavia non faranno rimpiangere l’albero dal quale provengono.

Nel mentre le stelle cadono, una dopo l’altra e si provano ad indovinare disegni ancestrali per il nostro ovvero domani, restiamo in attesa di ciò che accadrà nel Pd nelle prossime settimane, senza eccessiva curiosità a dire il vero poiché poco ci appassionano le querimonie tra fusionisti mancati che come estrema risorsa per testimoniare la loro vitalità vogliono provare a fare anche loro il “partito personale” nel momento in cui l’originale fallisce miseramente sia pure dopo vent’anni.

Ne abbiamo sentite tante in queste ultime settimane, ma dal vociare non siamo riusciti a cogliere niente di essenziale. O almeno di sorprendente. Non ci meraviglia più di tanto, infatti, l’esito che ritenevamo scontato fin dal mese di agosto, considerata la piega che stavano prendendo gli eventi. Che Alfano e compagnia cantante se ne andassero era nell’ordine delle cose: le distanze mai ammesse dall’inner circle di Palazzo Grazioli si sarebbero inevitabilmente approfondite con il passare del tempo. Ed il filo di un rapporto usurato avrebbe finito per spezzarsi.

Tra Monti, i montiani, Casini, i casiniani, popolari assortiti e montezemoliani poteva durare più di tanto una convivenza fondata sul nulla che non ha mai dato l’impressione di poter diventare un movimento sia pure composito, ma almeno animato da buoni propositi? Hanno cominciato a farsi la guerra in campagna elettorale. Ve li ricordate qualche volta insieme Monti, Fini e Casini? Separati nella stessa lista, mai una manifestazione in comune ed i loro adepti si guardavano in cagnesco: nelle urne è finita poveramente. Dopo, a risultato conseguito, ad amarezze maturate, a frustrazioni sopravvenute non poteva che insorgere l’incomunicabilità. E non so più chi se n’è andato per primo. Illacrimato è rimasto vuoto il sepolcro di una “scelta” che almeno nei toni, proprio “civica” non è stata.

Restano per aria in giornate così domande senza risposte. Ad esempio: perché Forza Italia ancora una volta? Perché “Nuovo centrodestra” prima di capire in che cosa non assomiglierà a quello vecchio? Perché “Popolari”, forse per non confondersi con “elitari” magari in loden?

Astrazioni italiane che Olli Rehn non capisce. A dire la verità neppure noi, ma non ci crucciamo. Lasciamo ai protagonisti e ai comprimari che hanno animato una giornata davvero bestiale la soluzione degli enigmi da essi stessi architettati, messi in fila con maniacale dedizione a maggior gloria degli italiani che non vedevano l’ora che apparissero un altro paio di partiti che partiti non sono. Ma che sono, allora? Lo scopriremo vivendo nell’attesa che altri se ne mostrino nel firmamento italiano che sempre l’ineffabile Olli Rehn scruta come una indecifrabile galassia.

Berlusconi, Alfano e Monti visti da Olli Rehn...

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