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Pubblichiamo un articolo di Affari Internazionali

L’intervento a gamba tesa con cui il ministro degli esteri francese, Laurent Fabius, è entrato nelle trattative sul nucleare iraniano ha creato scompiglio in un negoziato dominato fino allora dagli americani.

Rendendo esplicite alcune riserve occidentali sul reattore ad acqua pesante di Arak, Fabius ha di fatto vanificato il clima di compromesso delle ultime settimane. I sostenitori della linea dura, Israele o falchi americani in testa, si sono congratulati con Parigi, apparsa come baluardo dell’intransigenza occidentale e molti commentatori non hanno esitato a parlare di una virata neo-con dei socialisti francesi.

ALLEATO RILUTTANTE
Fa sorridere pensare che nel 2003 la stessa Francia era la bestia nera degli Stati Uniti per la sua opposizione all’intervento in Iraq. Certo, all’epoca alla guida della diplomazia transalpina c’era Dominique de Villepin, oggi c’è Laurent Fabius.

Lo stile si sarà evoluto, non abbiamo più il lirismo del ministro-scrittore, ma la visione è rimasta la stessa. La Francia rivendica la sua autonomia di giudizio, confermandosi un “alleato riluttante” (reluctant ally), come la definiscono gli analisti statunitensi. A muoverla è, in realtà, un calcolo razionale.

È da mesi che Parigi difende il campo sunnita nell’ambito del conflitto siriano. La Francia aveva maturato la determinazione ad intervenire in Siria sia per motivi interni – la volontà di aiutare i siriani ad autodeterminarsi – che per motivi esterni – la volontà di apparire come un “security provider” affidabile per le petro-monarchie del Golfo, Arabia Saudita e Qatar in testa.

LEZIONE
La Francia ha vissuto come un tradimento lo stop statunitense all’intervento nel conflitto siriano, ma, incapace di agire da sola, ha dovuto ingoiare il rospo e oggi non è disposta a fare sconti alla diplomazia statunitense. Sentendosi esclusa dalle trattative in corso, ha scelto di smuovere le acque anche per far sentire la propria voce.

È anche un’ottima occasione per mostrare agli amici del Golfo, economicamente strategici, che Parigi rimane il loro campione nella zona, Fra gli effetti collaterali, questo stop è gradito anche a Israele. Non che questo sia un obiettivo centrale della politica estera francese, ma può tornare sempre utile.

Fornitrice di tecnologia ai tempi dello Shah, la Francia vanta una buona conoscenza tecnica del dossier nucleare iraniano. Il suo parere in materia è certamente fondato. Ma, al di là dell’expertise, c’è un problema di posizionamento a medio e lungo termine. Nel corso della storia, la Francia è stata spesso vicina all’Iran, come dimostra l’alleanza franco-persiana del 1807.

Certamente il rapporto con l’Iran risponde a una dinamica culturale e politica più complessa rispetto a quella con i regimi arabi sunniti della regione. Oggi, la Francia sceglie di puntare tutto sul Golfo ma, mettendo a repentaglio il negoziato con l’Iran, rischia di ripetere l’errore commesso recentemente quando ha chiuso la porta dell’Unione Europea alla Turchia.

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Jean-Pierre Darnis è professore associato all’università di Nizza e responsabile di ricerca dell’Area sicurezza e difesa dello IAI (@jpdarnis).

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