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Forza Italia, forza Alfano, forza Fratelli d’Italia, un pizzico di Lega: il piatto del Popolo della Libertà con una ricetta rivista e corretta in alcuni ingredienti più o meno saporiti a secondo dei gusti, è la sintesi servita nel business lunch e nella merenda pomeridiana di sabato scorso al popolo di centrodestra. Tutto il resto, almeno per il momento, conta poco e rimane iscritto alla libera interpretazione degli auspici e delle buone intenzioni, del gioco delle dichiarazioni incrociate al veleno che verranno nei prossimi giorni dai peones ed in quelle parallele al buonismo di fondo dei rispettivi leaders, Berlusconi e Alfano.

Una sorta di libera interpretazione berlusconiana del “dividi et impera”? E’ presto per dirlo, ma di certo non è un Cavaliere vendicativo e d’assalto quello visibilmente stanco che per due ore ha parlato a braccio di sè, della sua storia e della rinnovata creatura, minimizzando sulle questioni della separazione consensuale, limitandosi ad ironizzare (peraltro a ragione) sul nome del nuovo gruppo di fuoriusciti già ribattezzati cugini e promossi a futuri alleati.

Chi ha avuto modo di frequentarlo nelle ultime settimane, non è rimasto sorpreso dai toni pacati, a tratti persino affettuosi con i quali Berlusconi si è rivolto per pochi minuti ad Alfano, senza peraltro mai nominarlo direttamente. Del resto, perché avrebbe dovuto chiudere le porte dopo che se ne erano già andati? Di fatto, la scissione operata da un manipolo di parlamentari diversamente ma pur sempre berlusconiani e di alcuni ministri che comunque ne riconoscono la leadership – vedi le dichiarazioni serali di un Maurizio Lupi ospite apparso piuttosto in imbarazzo da Fazio – e sempre più in difficoltà nel sostenere e giustificare la bontà della loro azione di governo agli occhi degli elettori di centrodestra, soprattutto dopo il sapore insipido della minestrina inefficace proposta con la legge di stabilità, bocciata nondimeno persino dall’Europa…

Quindi, senza le bandiere e le fanfare d’ordinanza delle grandi convention, peraltro fuori luogo dato che trattavasi di un consiglio nazionale, veniamo a ciò che è sfuggito a molti dei commentatori comodamente seduti negli studi televisivi, impegnati più nell’esegesi della decadenza fisica e politica del Cavaliere, ovvero che Silvio Berlusconi è sempre il cavaliere, fine stratega ed abile tattico, che sa cogliere l’attimo come ben pochi altri nell’attuale panorama politico nostrano e, certamente, ne è ben consapevole.

Agli addetti ai lavori, a quelli che quotidianamente si occupano di politica, professionalmente, possono suonare come parole vecchie e logore, dall’anticomunismo alla libertà in tutte le sue declinazioni possibili, all’eccessivo peso fiscale che opprime le imprese e le famiglie, alla questione di una magistratura al servizio di un apparato di sinistra conservatore e statalista, per finire con un fortissima posizione critica nei confronti della politica di rigore, vincoli ed austerità promossa dall’Europa. Berlusconi, al contrario di altri leader o presunti tali, è ben consapevole che gli italiani non pongono la politica in cima alla scala delle loro principali riflessioni e preoccupazioni quotidiane, che sono ovviamente altre e di ben diversa natura. Ma lo zoccolo duro del suo elettorato – e quello più ampio di riferimento perso per strada – è molto sensibile a questi pochi e semplici messaggi: nei fatti lo capisce e nell’urna, piaccia o meno, lo ha premiato.

Alfano ha ricevuto molto da Berlusconi, da ragazzo fotocopie è diventato segretario e ministro paladino della responsabilità del centrodestra nei confronti del Paese, espressa nel sostegno ad un governo di larghe intese che rischia tuttavia di delegittimarlo agli occhi degli elettori, ammesso che ne abbia di suoi.

E’ l’epilogo di una vicenda nata alcuni mesi fa, prima delle elezioni dello scorso febbraio, quando il seme di un confronto interno al Pdl per spartirsi l’eredità del cavaliere stava per essere lanciato in occasione di una convention romana. Poi la ridiscesa in campo, la cavalcata solitaria di Berlusconi in campagna elettorale, la sconfitta di un centrino – oggi dissolto – ed il successo della protesta popolare incarnata da Grillo.

Ora il ragazzo di bottega si è messo in proprio, aprendo una sua impresa: per questo motivo, a prescindere dai tempi e modi, occorre riconoscergli di avere coraggio e, se saprà non cedere alle sirene adulatrici di mezzetacche, cariatidi e naufraghi da altri partitini putrefatti, potrà liberamente concorrere con Berlusconi a ricostruire un centrodestra alternativo alla sinistra, a realizzare quella rivoluzione liberale che il vecchio leader, per sua stessa ammissione, ha fallito.

Concorrere e non competere – non mi stancherò mai di ripeterlo – è la via da seguire: lo capiscano anche gli altri movimenti che spuntano in questi giorni e tanto si agitano in un mare di buoni propositi che rischiano però di rimanere fini a se stessi, vittime di pregiudizi e piccole ambizioni personali,  e così sparire come lacrime nella pioggia.

L'impresa del ragazzo di bottega Alfano

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