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Il vicepresidente del Csm, personalmente simpatico, dev’essere molto incline all’umorismo nero. Sapendo bene come vanno le cose nel Palazzo (ormai da tempo comprendente al primo livello quell’organismo che si arroga di fatto l’esercizio del potere di una terza camera più alta delle altre due vere), Michele Vietti euforicamente annuncia urbi et orbi che la giustizia (la milanese) è giunta prima della politica: cioè ha dato un colpo di grazia (vale a dire una stilettata mortale nel gergo dei signorotti cinquecenteschi che si disputavano donzelle e poteri), prima che arrivasse l’aula di Palazzo Madama a dichiarare (ma lo farà) la cacciata di Berlusconi dalla vita parlamentare, nella quale l’ex presidente del consiglio era stato insediato, per cinque legislature consecutive, da un massiccio voto popolare.

Conoscendo Vietti come un moderato, e come un valente studioso di sistemi elettorali bipolaristi ma non vessatori (quello spagnolo era, almeno un tempo, il suo preferito), la sua irridente, inopportuna e del tutto fuori luogo uscita sull’interdizione, ha praticamente il senso di un abbandono veloce di quella posizione terza che competerebbe alla sua funzione, spostando ulteriormente i carichi del potere dalla politica istituzionale a quella dell’ordine giudiziario che, nell’architettura fissata dai padri costituenti, non era previsto diventasse il potere principale della repubblica. Anche perché, nel biennio costituente, era noto che la quasi totalità dei giudici all’epoca esercitanti era di estrazione monarchica: quasi tutti vennero fuori dalla epurazione immacolati perché si volle evitare di smantellare l’intera corporazione giudiziaria, avvezza a gestire i tribunali speciali fascisti, a liberarsi dei dissidenti, a considerarsi immuni da critiche in quanto funzionari tecnici di uno Stato assolutista.

Quegli epurandi non epurati ritenevano non fosse colpa loro se lo Stato, da monarco-fascista, era diventato, per via di un referendum popolare, repubblicano e democratico. Il ministro della giustizia Togliatti e il responsabile dell’epurazione nazionale, il comunista Scoccimarro, finsero di ignorare quei trascorsi indecorosi di un corpo ufficiale di funzionari che potevano tornare utili per una eventuale repubblica sovietizzata. Quanto alla valutazione di Vietti sui rapporti fra giustizia e politica, in termini di civiltà democratica essa è francamente deplorevole.

Una rivendicazione sublimale

Il vicepresidente del Csm, personalmente simpatico, dev’essere molto incline all’umorismo nero. Sapendo bene come vanno le cose nel Palazzo (ormai da tempo comprendente al primo livello quell’organismo che si arroga di fatto l’esercizio del potere di una terza camera più alta delle altre due vere), Michele Vietti euforicamente annuncia urbi et orbi che la giustizia (la milanese) è giunta prima…

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