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La Germania esporta troppo e consuma troppo poco mettendo così a rischio la ripresa mondiale. L’ultimo Rapporto valutario del Tesoro americano e lo stesso Fmi, secondo le indiscrezioni pubblicate da Der Spiegel, mettono la principale economia dell’eurozona sul banco degli imputati, perché la sua strategia di crescita export-led, cioè trainata dalle esportazioni, non è compatibile con quanto richiesto dalla crisi europea e dal quadro economico globale. Per i critici la Germania deve consumare di più, necessita di una domanda interna più robusta e dinamica e il governo dovrebbe adottare le più opportune politiche di stimolo.

Del resto, il surplus nominale della bilancia commerciale tedesca sopravanza quello della Cina. Un dato enorme che permette ogni mese a Berlino di accumulare decine di miliardi di preziose riserve valutarie senza pagare il pegno, che se avesse ancora il marco invece dovrebbe pagare, di una significativa rivalutazione della unità di conto. Se è vero che l’euro si è apprezzato verso il dollaro, del 16% dal minimo di 1,20, è comunque molto meno di quanto non sconterebbe la sola Germania come conseguenza del suo surplus commerciale record.

Ma perché la Germania è così spartana e frugale? Nelle altre economie di mercato del pianeta la bonanza di cui ha goduto e sta godendo Berlino avrebbe innescato una crescita dei consumi domestici. La tendenza a spendere sarebbe stata, almeno in parte, modificata dal ciclo economico espansivo favorendo da parte delle famiglie nuovi acquisti di beni durevoli e anche di beni e servizi di consumo non ripetuto. Insomma, il pil in costante e robusto rialzo e la disoccupazione al minimo storico post riunificazione avrebbero fatto rima con più consumismo. In Germania, invece, la propensione a consumare resta modesta.

I tedeschi consumano il minimo indispensabile, continuano a fare vacanze da «saccopelisti» e non si lasciano tentare dalle nuove mode. Hanno una avversione al consumismo, tanto i cattolici bavaresi quanto i riformati degli altri Laender, che appare l’altra faccia della medaglia weberiana della loro maggiore propensione a essere capitalisti. Continuano ad avere una paura folle che maggiori consumi possano tradursi in maggiore inflazione e così, anche quando dispongono di maggiore reddito, continuano a preferire gli acquisti low cost a quelli a premio. È la psicologia di massa tedesca ad avere una avversione alla cultura del consumo per consumare. Difficile che qualche stimolo fiscale possa modificare questo volksgeist, il comune sentire germanico, che per essere cambiato necessita di un’evoluzione del modo di vivere il capitalismo a Berlino. Risultato che, sicuramente, non si ottiene overnight.

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