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Nel parlamento Cnel passa la posizione che i minimi contrattuali sono di pertinenza delle parti sociali, indicazione che la stessa Ue aveva a suo tempo sottolineato per l’Italia nella constatazione della estesa capacità dei nostri Ccnl di coprire ogni settore merceologico. Si sono pronunciati favorevoli circa 2/3 dei membri dell’assemblea ma con una spaccatura significativa del sindacato. Da una parte Cgil, Uil e Usb contrarie. Cisl, Confsal, Ugl e Cisal favorevoli a che sia la contrattazione ed altre soluzioni da indicare al governo, il modo per migliorare la condizione di alcuni lavoratori che sono sottoposti a paghe inadeguate rispetto alla media dei minimi salariali contrattati.

Ora si aspetta ogni dettaglio del pronunciamento Cnel richiesto dal governo per la valutazione del Parlamento. Si spera a questo punto che le parti sociali sviluppino le raccomandazioni della Unione per l’Italia su una efficace manutenzione della contrattazione collettiva nazionale, territoriale ed aziendale. La contrattazione dovrà essere ripensata sugli aspetti della organizzazione del lavoro per innalzare la produttività assai più bassa rispetto alle economie nostre concorrenti a causa della lenta assimilazione della cultura digitale.

Le professionalità dovranno adeguarsi ed essere sorrette dal riconoscimento del merito nelle attribuzioni salariali. Gli obiettivi da precisare nelle attività lavorative e carichi di lavoro dovranno sempre più  sostituire gli orari come misurazioni per la corresponsione stipendiale come criterio più adatto al salario da corrispondere per misurare produttività e per il lavoro agile. Ed infatti se le parti sociali vorranno riappropriarsi dei terreni da loro abbandonati per ottenere maggiori risultati produttivi, potranno ridistribuire maggiori quote sui salari. Così si potranno superare non solo i salari più bassi della media ma anche I salari degli altri 25 milioni di lavoratori dipendenti, che sono la totalità del lavoro italiani.

Essi sono pagati con buste paga che nella media si sono fermate al lontano 1990 come ci dicono i dati incontestabile Ocse. Ed intanto stessi dati riferiscono di salari dei lavoratori di paesi europei cresciuti nello stesso lasso di tempo del 25-30% come in Francia e Germania. Insomma non c’è Paese europeo nella stessa nostra condizione. Questa descrizione incontestabile della miserabile e generale condizione dei lavoratori, dovrebbe consigliare a tutti di abbandonare le tempeste nei bicchier d’acqua suscitate da improbabili sindacalisti e politici italiani dediti a puntare il dito sulle singole tessere, ma incuranti del mosaico del lavoro italiano.

Per cambiare verso, se si ha davvero a cuore le sorti di chi lavora e dunque dell’interesse più grande del Paese, occorrerebbe un accordo di concertazione. Sì, quella concertazione che ha dato in passato grandi frutti quando si sono voluti coltivare grandi propositi di interessi generali, e non quando è stata piegata a corporativismo o persino ad obbiettivi peggiori. Alcuni politici si sono confortati che i sondaggi davano per due terzi ragione al salario minimo, ma cittadini si riferivano ai salari in generale che sono bassi a causa dell’abbandono da 30 anni della massima banale che se le produzioni non sono sostenute da tutti i fattori dello sviluppo, il risultato finale negativo è scontato.

È come se chi confeziona la salsiccia con carne scadente ed avariata, poi si lamenta della loro tossicità. Ed allora Landini più che scioperare contro la luna, si riunisca agli altri suoi colleghi e vada a palazzo Chigi. Le forze di opposizione aprano una vera discussione con la maggioranza su tasse del lavoro e tutti gli altri fattori che ora ostacolano il made in Italy e produzioni e servizi in generale in vista della “finanziaria” e sarà si un aiuto ai lavoratori ed un aiuto alla Repubblica. Lo spirito repubblicano non è retorica ma la testimonianza concreta che i primari interessi comunitari vengono sempre prima delle dispute tra schieramenti politici e sociali.

Oltre il salario minimo, è l'ora di una grande concertazione. Scrive Bonanni

Per cambiare verso, se si ha davvero a cuore le sorti di chi lavora e dunque dell’interesse più grande del Paese, occorrerebbe un accordo di concertazione. Sì, proprio quella che ha dato in passato grandi frutti quando si sono voluti coltivare grandi propositi di interessi generali, e non quando è stata piegata a corporativismo o persino ad obbiettivi peggiori. Il commento di Raffaele Bonanni

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