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Grazie all’autorizzazione dell’autore, pubblichiamo il commento di Federico Guiglia uscito sulla Gazzetta di Parma.

Era l’unica imposta che mancava, ma tranquilli: da oggi stiamo pagando anche quella. Con l’aumento dell’Iva, la “tassa sulla crisi” è dunque entrata in vigore, a prescindere dagli effetti sulla Borsa e sul differenziale tra titoli di Stato italiani e tedeschi (il celebre “spread”), che ci accompagneranno, mestamente, di giorno in giorno da qui alla soluzione dell’ultimo e più assurdo rebus politico della legislatura. S

ulle altrettanto celebri “tasche dei cittadini” già pesa l’improvvisa e improvvida rottura che Silvio Berlusconi ha provocato nel governo. E oggi, quando scatterà l’ora X della nuova fiducia che Enrico Letta chiederà alle Camere (o forse no: dipenderà dall’aria che tira), capiremo se l’Italia s’incamminerà o meno verso il voto anticipato. Come se la gente, oltretutto, non vedesse l’ora, sette mesi dopo le elezioni-paralisi dello scorso febbraio, di tornare a scegliere una classe dirigente rivelatasi al di sotto di ogni e già minima aspettativa.

Mentre Lorsignori discutono, che è l’unica arte in cui eccellono, gli italiani pagano. Ma c’è una novità: adesso si discute anche nel Pdl (o Forza Italia che dir si voglia), dove ministri, esponenti di vertice e perfino il segretario Angelino Alfano hanno subìto l’addio all’esecutivo e il modo in cui è stato solitariamente proclamato dal Cavaliere. Ora essi annunciano che “non si faranno intimidire”, come hanno detto a nuora – il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti -, perché suocera-Berlusconi intenda. In pratica, hanno risposto con durezza (“con noi il metodo-Boffa non funzionerà”) a un commento che evocava, per i “diversamente berlusconiani”, il rischio di finire sulle orme di Gianfranco Fini.

E così la resa dei conti è cominciata. Dimostra che c’è una parte di centro-destra, non si sa quanto ampia o convinta, contraria a buttare alle ortiche l’esperienza dei cinque e complicati mesi nel governo-Letta. E’ su questa che il presidente del Consiglio punta le sue carte per una qualche ricucitura dello strappo. Magari con l’aiuto del Quirinale, che continua a credere nelle larghe intese.

D’altra parte l’alternativa al governone non può essere il governino. Passare dalla grande coalizione a un’armata Brancaleone con i transfughi di tutti i partiti (nell’ora della disperazione i trasformisti, si sa, spuntano come i funghi), può dare, forse, un sostegno numerico a un governo per partire. Specie al Senato, dove i numeri traballano. Ma la stabilità è ben altra cosa, e lo stesso Letta non sembra disposto – l’ha sottolineato – a fare il Re Travicello. Solo una qualche forma di riedizione della “strana maggioranza” può avere, allora, un filo di futuro, almeno per sperare di arrivare al semestre di presidenza italiana dell’Unione europea nella seconda metà del 2014. Altrimenti si profila il solito esecutivo tecnico di pronto intervento, forse a guida Fabrizio Saccomanni, il ministro dell’Economia, per portare a casa la legge di stabilità, una nuova legge elettorale -ammesso che vi riesca- e poi tutti alle urne appassionatamente (si fa per dire).

Ma quel che rende la crisi ancor più incredibile sotto il profilo politico, è soprattutto il dopo. Nell’ipotesi, tutt’altro che peregrina, di un voto anticipato, il Pdl non potrà più avere né di fatto né di diritto il suo leader, nel frattempo decaduto e interdetto, quale candidato per palazzo Chigi. E oltre a dover spiegare ai cittadini la fine di un esperimento che proprio Berlusconi aveva fortemente voluto, nell’opposta barricata il centro-destra troverà un tandem agguerrito e con tanta voglia di “fargliela pagare”: il tandem Renzi-Letta, indipendentemente dalle posizioni e dai ruoli in cui il duo si muoverà (candidati-premier, segretari del Pd, possibili ministri ecc.). Insomma, nella migliore delle possibilità sognate dal Cavaliere, cioè il voto subito, il Pdl andrà incontro alla tempesta. Senza leader, senza alibi, senza aver mantenuto le promesse. Perché anche la seconda rata della pur abolita Imu, saremo presto chiamati a pagare: la “tassa sulla crisi”, come si vede, varia nei tempi e nei modi.

Intanto, Frau Angela Merkel ha chiamato Letta per dirgli che auspica stabilità in Italia. La strategia del “facciamoci del male” non incanta più nessuno, anche se purtroppo ci rende sempre riconoscibili.

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