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“Si dibatte della possibilità di un intervento armato per fermare il massacro in Siria, ma mi chiedo: cento mila morti e tre-quattro milioni di profughi non parlano alla nostra coscienza? Noi dobbiamo ragionare su come portare la pace, non una nuova guerra”. E’ duro monsignor Fouad Twal, patriarca latino di Gerusalemme, nelle parole che concede a Formiche.net. Con lui parliamo della crisi siriana, delle iniziative di pace di Papa Francesco e del piano presentato da Stati Uniti e Russia, che ha trovato un primo suggello nella risoluzione approvata dal Consiglio di sicurezza dell’Onu.

Monsignor Twal, in questo momento a chi servirebbe un cambiamento radicale in Siria?

Il punto è che i cambiamenti, così come sono stati prospettati in questi due anni, non servono a nessuno, non al popolo che soffre, né alle minoranze cristiane. Il nostro obiettivo deve essere la pace per il bene di tutti, non il cambiamento per favorire i pochi. L’esperienza dell’Iraq dovrebbe insegnarci che le conseguenze sono spesso violente.

Qual è l’atteggiamento delle comunità cristiane nel conflitto?

I cristiani erano e rimangono una minoranza, ed è vero che storicamente si sono sentiti più protetti sotto il governo di Bashar al Assad. I cristiani operavano nel settore del commercio, e a loro volta non costituivano certo un fattore di rischio per la dinastia alawita. Per questo oggi pagano un prezzo così alto.
Certo il regime di Assad è pur sempre una dittatura…
I regimi non sono mai tollerabili, e quello di Assad è brutale. Ma questo lo sappiamo. Mi chiedo come mai in occidente lo scopriamo sempre all’improvviso. E’ successo in Libia, sta per succedere in Siria. Quando invochiamo un cambiamento, noi dobbiamo guardare al meglio che si può ottenere, non al “meno peggio”, e pensare soprattutto a chi in quelle terre vive quotidianamente. I cambiamenti avuti in Iraq ed Egitto non ci danno nessuna garanzia che in Siria il futuro sarà migliore per la popolazione e per lo stesso occidente.

I cristiani sono destinati a sparire dal Medio Oriente?

I cristiani sono in grande difficoltà, ma non credo che spariranno. La mia convinzione è basata su due fattori. Il primo è un fattore umano: oltre a coloro che da sempre vi risiedono, infatti, nell’area arriveranno circa cento mila lavoratori da altre nazioni cristiane, come le Filippine. In passato, per esempio, è stato così per migliaia di lavoratori rumeni. Il secondo riguarda la nostra dimensione spirituale: noi abbiamo fede nel Signore, non ci sentiamo soli e abbiamo fiducia che Egli ci aiuterà.

Stati Uniti e Russia hanno presentato un piano per la distruzione delle armi chimiche che Assad ha accettato, e che ora è stato suggellato dalla risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Pensa che questo possa portare a una sorta di salvacondotto per permettergli di uscire dalla scena politica senza rischiare la vita?

La questione va posta in maniera differente. Il punto è che né Assad né l’occidente accetterebbero, dopo di lui, un regime degli estremisti musulmani che stanno combattendo in Siria.

C’è il rischio di un’estensione del conflitto anche alla Giordania?

Al momento la Giordania rimane un Paese pacificato e tranquillo, soprattutto per la saggezza del re Abdullah. Le manifestazioni che pure vi erano state nei mesi scorsi erano state sponsorizzate dai Fratelli musulmani, ma anche in quell’occasione il re ha dimostrato equilibrio nel proteggere i manifestanti e nel provare ad ascoltare le loro rivendicazioni. Ora la situazione è calma, ma certo ogni Paese del Medio Oriente risente fisiologicamente di quanto accade in un suo vicino.

A cosa si riferisce in particolare?
Che l’Egitto e la Siria oggi siano sotto i riflettori della comunità internazionale è evidente, e non potrebbe essere altrimenti. Però come mai nessuno parla più del conflitto israelo-palestinese? Temo che lo si dia ormai per scontato, quando è quello il vero nodo della regione. Ma il nostro obiettivo deve essere la pace, la guerra non può essere una condizione che si tollera come normale!

Molti parlano della Turchia come modello di democrazia possibile per il mondo islamico. Lei che ne pensa?

Penso che tutti i Paesi possono essere un modello o avere in sé delle caratteristiche buone da imitare. Il punto è che ciascun popolo e ciascun Paese dovrebbe poter scegliere direttamente qual è il modello che vuole seguire. Senza imposizioni dall’esterno. Se l’Italia, con tutta la sua bellezza, non può essere un modello, come volete che lo sia la Turchia?

Quale ruolo può avere la Chiesa nell’opera di pacificazione?

La Chiesa è rimasta l’unica istituzione a far sentire la propria voce per dire come stanno veramente le cose in Medio Oriente e, soprattutto, per quanto riguarda la crisi siriana. Gesù è venuto a portare la pace nel mondo, quindi la pace è l’obiettivo primario per la Chiesa. Il 7 settembre si è svolta la grande giornata di digiuno e preghiera, voluta da Papa Francesco. Mentre a Roma si pregava in piazza San Pietro, i cristiani di tutte le confessioni, i riti, le lingue e le nazioni pregavano al Getsemani a Gerusalemme. Ricordo che prima di quel giorno di parlava solo di che tipo di guerra portare in Siria: piccola, grande, mirata, oppure limitata. Dal giorno successivo si è iniziato a parlare di quale sia la soluzione politica e diplomatica migliore. Ecco il potere della Chiesa, e della preghiera, in favore della pace!

La Siria, Assad e i cristiani. Parla monsignor Twal, patriarca latino di Gerusalemme

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