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Se tutti si sbagliassero. Ossia gli europeisti (e non solo) hanno salutato con gioia la “fine dell’incertezza” a ragione dei risultati che dovrebbe ridurre, ove non eliminare, l’incertezza sulla politica dello Stato più importante dell’Unione Europea (UE); una grande coalizione od un monocolore invece potrebbe rafforzare le trasversali tendenze isolazioniste della Repubblica Federale e non promettere nulla di buono soprattutto in materia di unione bancaria ed altri rattoppi alla scalcinata unione monetaria.

A casa nostra, l’intervista del Ministro dell’Economia e delle Finanze al Corriera della Sera del 22 settembre viene letta come una nuova sorgente di incertezza; potrebbe, invece, portare ad un chiarimento (tanto più che come dimostrato in altri interventi su Formiche.net basta un DPCM per sfoltire la spesa pubblica eliminando una piccola parte di quella improduttiva). Ciò vorrebbe dire maggiore incertezza dalla Germania e maggiore certezza in Italia.

Ma soprattutto, perché abbiamo paura dell’incertezza? Nel 1994 in un libro fondamentale, Dixit e Pindyck hanno dimostrato che, se si vuole farlo, gli investimenti pubblici e privati rendono di più in condizioni di incertezza che in quelle di relativa certezza. Una decina di anni dopo, Pasquale Lucio Scandizzo e chi scrive questa nota hanno dimostrato, in 450 pagine, di cui 150 di matematica in un volume edito da Giappichelli, che l’incertezza è un “bene pubblico” come “la democrazia” che ci alimenta e ci stimola tutti. Chi sa fruirne ed acchiappare le opzioni reali azzeccate, ha successo. Chi non se ne rende conto, resta a piagnucolare.

Sia lodata, quindi, l’incertezza! Il Governo dovrebbe utilizzarla per eliminare almeno 20 miliardi di spesa pubblica improduttiva. E tener testa a chi si sente turbato, o perturbato, dall’incertezza che tra qualche ora verrà da Berlino.

 

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