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Leggo di una maratona sulla questione del premierato a Roma, al Teatro Sala Umberto, il 27 febbraio. Credo che la tendenza prevalente sia verso il rafforzamento dei poteri del premier, secondo un modello alla tedesca, senza passare per una elezione diretta. Una impressione di cui non sono certo, anche se sono colpito dal fatto di vedere, oltre a tanti bravi costituzionalisti, una serie quasi infinita di paracostituzionalisti, influencer costituzionali, influenzati costituzionali, vip alla romana, testimonial e presenzialisti. Non ho capito se parleranno tutti i “maratoneti paracostituzionali” di questo sterminato elenco. Spero di no per i poveri spettatori. Perché in fondo ad un teatro ci sono pure gli spettatori… Come costituzionalista senza cattedra stabile, mi permetto però di segnalare una sorta di second best, di un’altra possibile via per la riforma della forma di governo così come dettata dalla Costituzione. Correggendo quanto emerso da parte di qualche politologo e da qualche bravo costituzionalista ed esperto di area progressista, come Michele Ainis. Quella che avrebbe potuto essere la via migliore (e forse ancora potrebbe esserlo) per giungere ad un rafforzamento dei poteri del premier accompagnato da un sistema di check and balance, senza intaccare i poteri del Presidente della Repubblica. Una via che mi sembrerebbe più che mai appropriata.

Grazie alla sindrome italica dell’”eterno ritorno”, è tornata in questi giorni all’attenzione, spesso ad opera di qualche osservatore più vicino alla sinistra, la proposta della “Costituente” per affrontare la questione dell’elezione diretta del premier e di altre modifiche alla parte seconda della Costituzione. Come capita spesso, mi sembrano sbagliati sia il concetto che la parola. Perché il concetto di “Costituente” implicherebbe una profonda revisione della Costituzione. Credo che la memoria storica in questo Paese sia un po’ solo “voce dal sen fuggita”. A me, per fortuna, capita di tenermela ben stretta e coltivarla…

Ricordo benissimo, ad esempio, quelle settimane tra la fine del 1995 e l’inizio del 1996, in cui, assieme ad un grande costituzionalista ed esperto di Diritto costituzionale comparato come Guglielmo Negri (che in quel momento aveva la delega per i rapporti col Parlamento nel Governo Dini) scrivemmo una proposta di istituzione di un’“Assemblea per la revisione costituzionale”. Già allora i tempi erano ampiamente maturi, tant’è che appena dopo fu dato l’incarico ad una grande personalità come Antonio Maccanico per la formazione di un governo con al centro dell’agenda la riforma costituzionale. Un tentativo purtroppo fallito. Tale concetto va evidenziato perché è cosa ben diversa da una “Costituente”. L’Assemblea per la revisione costituzionale dovrebbe essere composta, infatti, da un centinaio di eletti, rigorosamente con sistema proporzionale e con requisiti di competenze in materia istituzionale per le candidature. Ma soprattutto la questione dirimente è quella delle funzioni e dei poteri di tale assemblea. Non c’è una vera spoliazione dei poteri delle due Camere. Infatti, a tale assemblea competerebbe la formulazione di un testo di riforma degli articoli della Costituzione sulla forma di governo e sui collegati pesi e contrappesi, ma solo con “poteri redigenti”.

Ciò significa (lo dico per i non addetti ai lavori) che poi il testo dovrebbe essere approvato tramite votazione, articolo per articolo e senza emendamenti, dalle due Camere. Ebbene, l’esercizio di pescare nella storia e nei precedenti è sparito in questo strano Paese. È invece un esercizio fondamentale. Non a caso, negli anni e nei mesi scorsi, più volte ho riproposto questo modello, che sembra il più appropriato per giungere alle modifiche nella parte seconda della Costituzione nel modo più idoneo e con la formulazione tecnica di stesura possibilmente migliore. Oltretutto, non sembra che in questo Parlamento, fatto di nominati, ci siano le competenze giuste per riscrivere una parte cruciale della Costituzione. Esaminando i pro e i contro anche con spirito un po’ più imparziale e con la dovuta attenzione alle questioni del rapporto tra governo-Parlamento, governo-presidente del Consiglio e governo-premier-Presidente della Repubblica.

Con un termine di 12 mesi tale assemblea di personalità in qualche modo addette ai lavori dovrebbe procedere, appunto, al confronto (un po’ più sereno di quello che avviene oggi nelle commissioni e nelle aule parlamentari) ai fini dell’elaborazione del testo più appropriato possibile. D’altronde, sappiamo bene come l’esperienza delle commissioni bicamerali per la riforma istituzionale non abbia dato frutti. Ancora meglio, sappiamo come il referendum costituzionale, già con la riforma Berlusconi e la riforma Renzi a suo tempo, abbia bocciato le proposte elaborate, forse un po’ troppo in fretta e non certo sulla base del principio di competenza. E poi sappiamo come la storia anche recente del nostro Paese, sia sul piano politico che su quello economico che soprattutto su quello istituzionale, sia una storia di “illusioni perdute” e “occasioni mancate”. Forse la via qui proposta, potrebbe essere la più idonea per superare la troppa divisività che c’è in seno alle forze politiche e che pesa sul lavoro parlamentare. Discutiamone, senza però lanciare parole da “idola fori” come quella di “Costituente” e dando il giusto significato ai concetti e alle parole. Forse non tutto è ancora perduto e si può scegliere l’itinerario più serio ed appropriato per la riforma della forma di governo, con il connesso rafforzamento della figura del premier.

Premierato, meglio un'assemblea per la revisione della Costituzione. La proposta di Tivelli

L’Assemblea per la revisione costituzionale dovrebbe essere composta da un centinaio di eletti, rigorosamente con sistema proporzionale e con requisiti di competenze in materia istituzionale per le candidature. Ma soprattutto la questione dirimente è quella delle funzioni e dei poteri di tale assemblea. Non ci sarebbe una vera spoliazione dei poteri delle due Camere. La proposta di Luigi Tivelli

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