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Cassa depositi e prestiti, l’istituto finanziario pubblico che raccoglie miliardi di risparmio privato postale convogliandolo verso iniziative di interesse nazionale, ha assunto il ruolo di protagonista nelle principali operazioni economiche degli ultimi tempi.

Ruolo che può trasformarsi in leva per una politica industriale nel progetto di 95 miliardi di investimenti a favore di infrastrutture, imprese ed edilizia popolare. Alcuni politici e analisti invocano o temono la creazione di un potente strumento di intervento diretto dello Stato nel mercato ed evocano lo spettro o il ritorno dell’Iri, paradigma dell’economia mista a metà strada tra il capitalismo liberale e la pianificazione socialista.

Una creatura “anfibia”

Cassa depositi e prestiti è una holding finanziaria pubblica o una vera e propria banca? Fino ad oggi è prevalsa un’ambivalenza iscritta nel codice genetico dell’organismo partecipato per l’80 per cento dal Ministero dell’Economia e per il 15 per cento circa dalle fondazioni bancarie. Creatura allo stesso tempo pubblica e privata: detiene pacchetti azionari in importanti aziende, produce utili, presta risorse alle amministrazioni locali per la realizzazione e la riqualificazione di servizi pubblici.

I numeri fondamentali

Cdp raccoglie 234 miliardi di euro investiti dai risparmiatori in buoni fruttiferi o libretti postali garantiti dallo Stato producendo un attivo da 305 miliardi di euro: nel 2012 ne ha investiti 22, l’1,5 per cento del Pil, con profitti per 2,8 miliardi. Cassa depositi e prestiti possiede il 27 per cento di ENI, il 30 per cento di SNAM rete gas e il 30 per cento di Terna che gestisce la rete elettrica. Controlla aziende come SIMEST, che offre finanziamenti e assistenza ai gruppi italiani impegnati nell’internazionalizzazione, e molti altri fondi e società attivi nelle infrastrutture.

Gli interrogativi aperti e gli accertamenti di Banca d’Italia

L’attività di finanziamento indiretto delle imprese private vede la Cassa fornire denaro al sistema bancario che poi lo usa per assistere le aziende. Ne scaturisce una maggiore esposizione di CDP nei confronti del sistema creditizio e un più spiccato profilo di rischio. È a questo punto che entra in gioco la Banca d’Italia. Perché se Cassa depositi e prestiti non può essere considerata una banca nell’accezione tradizionale del termine, è un intermediario finanziario costituito in società per azioni che può essere soggetto all’attenzione di Via Nazionale e rientra nell’albo speciale e nelle norme del Testo unico bancario-Titolo V Articolo 107. La rapida evoluzione del ruolo e del raggio di azione di CDP è all’origine dell’attività conoscitiva partita nel 2012 per opera dei funzionari di Bankitalia e messa in luce da Italia Oggi. Finalità delle loro visite era verificare il sistema di governo e quello di gestione e controllo dei rischi.

Il ruolo possibile del Tesoro

L’accertamento ispettivo di Banca d’Italia è terminato a settembre 2012. Come per tutti gli altri intermediari bancari e finanziari sottoposti alla vigilanza della Banca d’Italia, gli esiti sono coperti da segreto d’ufficio. Ad oggi le informazioni disponibili parlano di un patrimonio netto di Cdp pari a 17,5 miliardi, circa la metà dei 33 miliardi di partecipazioni detenute dall’istituto. A fine 2012 il complesso dei finanziamenti a Cassa depositi e prestiti ammontava a 260 miliardi. Se sulla base dell’attività ricognitiva svolta da Bankitalia, il governo maturasse la convinzione che Cdp è una banca a tutti gli effetti e decidessero di conferirle lo status di istituto di credito tout court, gli effetti sarebbero tangibili. Per la normativa in vigore, il rapporto tra patrimonio e finanziamenti di un grande istituto di credito è dell’8 per cento. Per riallineare il patrimonio di CDP ai 260 miliardi di trasferimenti, il Tesoro dovrebbe ricapitalizzare Cdp fino a 20,8 miliardi. Il che, visti i 17,5 miliardi di partenza, equivale a un intervento per 3,3 miliardi di euro. Non proprio bruscolini.

Ecco il costo segreto per il Tesoro di Banca Cdp

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