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Pubblichiamo un’analisi di Giuseppe Pennisi uscita sul quotidiano Avvenire

I tempi sono strettissimi: la Legge di Stabilità per il 2014 dovrà essere delineata entro il 20 settembre (data della presentazione della Nota Aggiuntiva al Documento di Economia e Finanza). Per articolare il disegno di legge c’è tempo sino a metà ottobre. Quest’anno, per la prima volta, le autorità europee (Commissione, Ecofin) esprimeranno una valutazione prima ancora della conclusione del vaglio parlamentare.

Alcuni parametri sono già definiti. In primo luogo, come ha precisato ad Avvenire il commissario europeo Olli Rehn, sotto il profilo contabile l’indebitamento netto delle pubbliche amministrazione non potrà superare il 3% del Pil – ossia non ci saranno deroghe per investimenti pubblici, interventi per alta tecnologia e simili – e l’Ue “valuterà con cura le coperture”.

In secondo luogo, se per eliminare la seconda rata dell’Imu e non aumentare l’Iva occorre reperire 4 miliardi nelle prossime sei settimane, l’aggiustamento da effettuare nel 2014 si pone sui 30-40 miliardi (la stima è prudenziale); non può essere effettuato con misure puntiformi ma con una chiara idea delle priorità, come sottolinea da tempo almeno uno dei sottosegretari al Ministero dell’Economia e delle Finanze. Occorre anche concentrarsi sui punti essenziali e temere possibili diversivi; ad esempio, sarebbe meglio varare il Decreto del Fare 2, di cui circolano differenti bozze, dopo il chiarimento delle priorità e lo smaltimento del centinaio di adempimenti (nessuno pare conoscerne il numero esatto) per attuare in pieno decreti convertiti in legge denominati Salva Italia, Cresci Italia e Decreto del Fare 1.

In terzo luogo, sarebbe poco saggio tentare di seguire le tendenze della spesa pubblica con aumenti della pressione tributario-contributiva: si smorzerebbero infatti i fragili segnali di possibile ripresa. Si dovrebbe, al contrario, ridurre il cuneo che pesa sul costo del lavoro e l’Irap che frena la competitività delle imprese. C’è certamente ancora molto grasso in una spesa pubblica di 800 miliardi l’anno. Occorre individuarlo e sfoltirlo. A tal fine si deve seguire non tanto spending review occasionali affidate a task force e comitati tra il precario ed il provvisorio e, quindi, destinati ad avere una collaborazione limitata dai ranghi ordinari della pubblica amministrazione. Lo mostrano chiaramente le esperienze precedenti effettuate in Italia. Quelle di successo attuate all’estero hanno attribuito, con grande chiarezza, la funzione (e la responsabilità) ad un corpo dello Stato e l’hanno resa non un episodio straordinario (ed occasionale) ma un compito permanente.

Ad esempio, la normativa americana in materia è l’unica legge approvata durante il primo mandato Reagan (ossia più di trent’anni fa) mai modificata da allora (poiché consegue buoni risultati). Il programma di razionalizzazione delle scelte di bilancio attuato, come misura straordinaria in Francia nella seconda metà degli Anni Ottanta, è diventato competenza del ministero del Tesoro d’Oltralpe, che guida e coordina il resto dell’amministrazione.

Si può ipotizzare una task force per l’individuazione rapida della spesa improduttiva e la sua eliminazione, ma si deve collocare il disegno in un quadro permanente. La Ragioneria Generale dello Stato ha tutte le caratteristiche per essere l’istituzione su cui puntare.

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