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Per gentile concessione dell’editore e dell’autore, pubblichiamo il commento di Sergio Soave uscito sul quotidiano Italia Oggi.

Il comportamento dei dirigenti e dei militanti del Partito democratico, che sono disponibili e persino interessati a far cadere il governo che esprime l’unico equilibrio possibile in una fase critica dell’economia e delle relazioni internazionali, pur di non concedere neppure qualche giorno di dilazione e di discussione sul tema della decadenza di Silvio Berlusconi, a prima vista appare dettato da uno spirito puramente vendicativo. In realtà con questo spirito, che caratterizza soprattutto i settori più attivi della militanza, si fonde una preoccupazione politica più razionale, quella di un cedimento strutturale nei confronti delle posizioni estremistiche di sinistra, oggi rappresentate da Nichi Vendola e da Beppe Grillo. In questa preoccupazione si esprime un tradizionale strabismo della sinistra riformista italiana, che ha sempre sopravvalutato la concorrenza «da sinistra» per poi finire spesso, invece, sconfitta dal centro o dal centrodestra, dove si trova una base di consenso strutturale e tradizionale ben più consistente. Anche ora, probabilmente, si ripete lo stesso errore di calcolo, perché si attribuisce all’elettorato del Movimento 5 Stelle una connotazione di sinistra che in realtà caratterizza molto più gli eletti che gli elettori, che invece in gran parte hanno espresso un’opzione antipartitica e antiparlamentare, antieuropea e antifiscale, che porta in sé i segni distintivi di un orientamento che in altri paesi, dalla Francia alla Grecia all’Olanda, si colloca esplicitamente a destra.

Il timore di apparire meno decisi dei concorrenti considerati di sinistra nell’accanimento contro Berlusconi già ha contribuito, nel corso della campagna elettorale scorsa, a una imprevista resurrezione del «giaguaro» che non è stato affatto smacchiato dalle intemerate di Pier Luigi Bersani. Però nel Partito democratico la mancata vittoria a porta vuota non è stata attribuita all’incapacità di recuperare l’elettorato deluso del centrodestra, che aveva una consistenza colossale, ma dal non aver presentato un programma abbastanza estremista, quello del cosiddetto e non meglio identificato «cambiamento».

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