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In principio fu Ernesto. Sì, il signore in nero visibile solo grazie a labbra e guanti bianchissimi e al papillon rosso. Con la voce un po’ roca, roca e non rock, meno che mai pop, infinitamente jazz, il signor Ernesto canticchiava: -Ta tà, Tattabù, anche bianco – . E lo faceva con energia ed entusiasmo al punto che quel motivetto, accompagnato dal muoversi delle mani a tempo, è entrato nell’immaginario di tutti gli italiani, amanti e non della liquirizia Perfetti. Azienda lombarda (per la precisione italo-olandese), leader nella produzione di caramelle e gomme da masticare.
In principio fu Ernesto dunque che, alla faccia dei tantissimi testimonial strapagati presi in prestito dal mondo del cinema e della TV, ha rappresentato un caso di successo nel campo della creazione di spot pubblicitari.
Dovevano essere proprio altri tempi perché quel personaggio con tanto di maschera e guanti bianchi, a distanza di anni, evoca personaggi del mondo del cinema e della letteratura. Lo spot si ispirava alle performances di Al Jolson cantante jazz anni 20 con una storia personale che è letteratura essa stessa. Guardate qui se non ci credete, e al contempo evocava altri personaggi: come non pensare a Fantomas che arrivò a stimolare il genio creativo di Renè Magritte.

magritte-tabù

O ancora al Gastone di Petrolini. Immagini, musiche e sonorità che rimandano  a un Paolo Conte, se volete. Un immaginario estetico quello, degli anni 70, che costituì il propellente per i creativi degli anni 80 ancora immuni dall’edonismo che avrebbe, di lì a poco, dilagato.
E infatti, qualche anno dopo, siamo già negli anni 90, cambia il paradigma. La liquirizia diventa sfizio antico, e la Perfetti, che deve cavalcare i consumi, si adegua alla formosità edonistica di quegli anni. Le curve, che portano lungo la strada del tempo, lontano dal post-sessantottismo, sono quelle delle soubrette del Drive In, di Indietro tutta. E così nasce la Morositas che porta la burrosità e la formosità dentro un tubetto di caramelle. Quanto era morbida la vita.. Le caramelle dentro cui sprofondare vanno baciate e non più sucate come si faceva con le liquirizie. Le donne dello spot non sono ammiccanti ma accoglienti. E il colore fucsia della confezione è la trasposizione cromatica di un desiderio che sa di trovare appagamento. Siamo oltre il rosa, troppo sentimentale, e, pure, oltre il rosso della passione.
Ed è il tempo della mentos. Dove negli spot, in un clima tutto anni 80, l’aria che si respira, freschissima, è sbarazzina. C’è la sicurezza in un futuro che non riserva incertezze. Guardate qui ad esempio. Lo spaccato sociale è caratterizzato dalla sicurezza che è, prima di tutto, economica. Nello spot, figuriamoci, entra il racconto di un matrimonio che è il trionfo dello sfarzo e del consumismo. Guardate, qui, le facce, i vestiti, l’ambientazione. Gli uomini hanno la capigliatura dei Duran Duran!

Con il passaggio del secolo però, quando la finanza, che fino a qualche anno prima aveva fatto pensare che il capitalismo fosse seduto su di una retta a pendenza costante, svela la verità. La pendenza è essa stessa una curva il cui andamento varia nel tempo cambiando di segno. L’umanità è un cow boy che tenta di addomesticare il cavallo selvaggio del capitalismo che salta e scalcia, di tacco e di punta, disarcionando tutto e tutti. I ritmi di vita diventano più frenetici perché, tranne per pochi, la cinghia si fa sempre più stretta. Cambiano i mestieri che vanno di pari passo alle innovazioni tecnologiche, (nasce lo speditore di mail). Si respira aria di nervosismo e il fegato è sempre più marcio. E’ tempo di vigorsol. Le gomme da masticare per correre da seduti al call center almeno a mezzo arcata dentaria ed evitare che l’acidità di stomaco produca, a mezzo fiato, effetti indesiderati. Le vigorsol sono, secondo i casi, un moltiplicatore di nervosismo o un antistress, ma permettono di rendere almeno fresca l’aria nervosa che si respira. Quanta incertezza. La vita non è più morbida.
Lo spot di quella donna la cui bocca viene pietrificata dal gelo prodotto dalla vigorsol è la rappresentazione di un’estetica depravata. Non c’è più né il bello, nè la ricerca del gusto. Il desiderio non è più certo di essere appagato. No, la realtà è glaciale. Punto.

Tabù: quante cose ci dice uno spot

In principio fu Ernesto. Sì, il signore in nero visibile solo grazie a labbra e guanti bianchissimi e al papillon rosso. Con la voce un po’ roca, roca e non rock, meno che mai pop, infinitamente jazz, il signor Ernesto canticchiava: -Ta tà, Tattabù, anche bianco - . E lo faceva con energia ed entusiasmo al punto che quel motivetto,…

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