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C’è una radio e ci sono i giornali. L’attualità, dunque. Che non dice nulla di buono perché questi tempi, buoni, non sono. La voce narrante ci invita a voltare pagina. Invita noi telespettatori a concentrarci su altro. Sulle cose buone. Veniamo catapultati in un immenso campo verde, verdissimo. E la voce parte elencando le cose buone. L’erba buona che è alimento per una mucca che a sua volta, se ben allevata, dà del buon latte. Quote latte a parte. E il latte, poi, buono anch’esso, diventa l’elemento di base di un formaggio che, grazie ai controlli “s e v e r i”, – perché loro sono meno buoni – la voce allude ai responsabili del controllo qualità del prodotto, diventa il Grana Padano, il prodotto DOP più consumato al mondo. Ecco. Questa la comunicazione dello spot, recentissimo, del Grana Padano.

Che non è un prodotto manifatturiero in senso stretto, un prodotto nato da un’idea come il Ferrero Rocher. L’idea del formaggio, ovvio, c’è già. E di formaggi, persino più buoni, ce ne sono migliaia. Il Grana Padano, però, è prodotto in quanto il risultato di una ricetta e di una organizzazione che ha saputo coniugare il riconoscimento, largo, da parte dei consumatori, con i costi di un prodotto industriale. Il Grana Padano è mix perfetto di stagionatura, di profumi e sa incontrare un gusto globale, gusto che nella sua lunga storia, 1000 anni, la tradizione del Grana Padano ha nel tempo plasmato.

Il vissuto dello spot, che pare una sequenza di lasse, come il Cantico dei Cantici, ci riporta alle nostre origini, a quei gesti semplici, all’idea di una comunità a misura d’uomo. Quel lato buono di una certa Italia, di provincia, che lavora e ha successo. Perché sfrutta il suo petrolio: il suo territorio, il suo clima. L’equilibrato rapporto con la natura che, lo spot non lo dice ma lo sottintende, va salvaguardato perché la vera e unica ricchezza di questo paese.

Simile, molto simile al vissuto evocato dallo spot del Ferrero Rocher (vedi qui). Tranne che per un dettaglio. Alla fine dello spot, infatti, la voce narrante chiude la sua narrazione dicendo che la bontà del Grana Padano serve a lui mentre la camera inquadra un bambino all’interno di un garage. Lui che deve crescere e fare tante cose buone. Il bambino però indossa una tuta da astronauta. Ecco il dettaglio: la tuta da astronauta.

A questo punto, a chi ha sviluppato lo spot deve essere andato qualcosa di traverso, o forse una forma di grana padano gli si deve essere abbattuta sulla testa proprio come nello spot del 1991. Ricordate? Dal cassone di un furgone cadeva una forma di grana padano che arrivava, scendendo a valle attraversando boschi e saltando sopra ruscelli, direttamente sulla tavola di un ristorante.

Mentre nello spot del Ferrero Rocher, il protagonista Lorenzo rimane ancorato alla sua ostrica, alla sua terra e di essa vive in perfetta armonia, il giovane figlio di una tradizione millenaria come quella del Grana Padano dovrebbe educarsi alla tecnologia avanzata e andare, addirittura, all’altro mondo.

Il Grana Padano è una tradizione e come tale va tramandata nelle sue liturgiche formule alle nuove generazioni. Ci vuole iper-specializzazione ed essere, tutti, come il coltellino che coglie con precisione balistica i suoi bersagli con cui genera felici e straordinari accostamenti: la pera, la noce, l’uva. E che, scalfendo la parete della forma del Grana Padano, manco fosse la superficie di Marte, possa sempre sorprendere con ogni sapore!

 Il video Grana Padano 2013

Grana Padano: quante cose ci dice uno spot

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