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A inizio settimana, le forze armate statunitensi hanno consegnato un nuovo carico di aiuti militari all’Ucraina, comprendente sia bocche da fuoco che munizionamento di vario calibro e tipo. Nulla di nuovo, se non per il fatto che questi materiali siano made in Iran, quello stesso Iran che rifornisce i russi di droni e di altri equipaggiamenti bellici. Com’è possibile tutto ciò?

Negli ultimi mesi, la marina statunitense assieme a quelle alleate occidentali sta incrementando le sue attività di pattugliamento nelle acque che circondano la Penisola Arabica. Uno degli scopi principali di questa attività è prevenire l’invio di rifornimenti da parte delle Guardia Rivoluzionarie di Teheran a vantaggio degli Houthi, la fazione yemenita che l’Iran sostiene come proxy all’interno della guerra civile che dilaga nel Paese da quasi dieci anni. In numerose occasioni i vascelli della Us Navy hanno fermato imbarcazioni sospette, che si sono rivelate poi essere cariche di equipaggiamenti militari destinate ai ribelli yemeniti, prontamente sequestrate dai militari di Washington. Tuttavia, fino ad ora questa vasta quantità di materiale confiscato era stata immagazzinata in depositi istituiti ad hoc, nonostante le pressioni arrivate da settori diversi per inviare questi preziosi equipaggiamenti a Kyiv, che ne avrebbe fatto buon uso. E l’amministrazione di Joe Biden si è impegnata nel trovare uno strumento legale che permettesse questa transizione. I funzionari del dipartimento di Giustizia e della Difesa hanno lavorato a stretto contatto, e sono riusciti a individuare un canale adatto nelle autorità statunitensi per la confisca civile.

Rifornire l’Ucraina con materiale bellico iraniano è una mossa che non va soltanto a soddisfare la forte necessità di Kyiv di risorse militari sufficienti a portare avanti lo sforzo bellico d’attrito, dinamica prevalente in questa fase del conflitto: le conseguenze si estendono in ben altre dimensioni. In primis quella diplomatica: Mosca e Teheran stanno portando avanti sin dall’inizio del conflitto un percorso di avvicinamento reciproco, culminato nella fornitura di sistemi unmanned iraniani alle forze armate russe, sistemi che si sono rivelati fondamentali nella conduzione delle campagne di bombardamento contro le infrastrutture ucraine.

Oltre a ciò, i due Paesi hanno anche cooperato per aggirare le sanzioni occidentali imposte su entrambi e per resistere ai tentativi dell’Occidente di limitare i rispettivi sforzi per destabilizzare l’Europa e il Medio Oriente. Alla luce di questa vicinanza, il Cremlino potrebbe fare pressione sul regime degli Ayatollah per sospendere l’invio di armi e munizioni agli Houthi, per via del rischio concreto di intercettazione da parte statunitense e del conseguente dirottamento di questi rifornimenti verso l’Ucraina.

Inoltre, l’utilizzo di armi iraniane da parte dei soldati ucraini rappresenta un’ottima opportunità per realizzare un’apposita campagna di information warfare, una disciplina in cui l’Ucraina guidata da Volodymyr Zelensky si è dimostrata particolarmente capace negli ultimi mesi del conflitto. In particolare vi è la possibilità di fare leva su come le armi dell’Iran, lo stesso produttore delle “munizioni kamikaze” che causano morte e distruzione nei centri abitati dell’intero Paese, vengano impiegate per difendere la popolazione in una sorta di contrappasso bellico contemporaneo.

Infine, ricorrendo a questo escamotage Washington potrebbe continuare a rifornire Kyiv di materiale bellico senza che ciò vada a gravare sul bilancio dello Stato, in una congiuntura difficile sia dal punto di vista economico che da quello politico, con l’avvicinarsi delle elezioni del 2024 e dell’accendersi del dibattito elettorale, in cui il supporto all’ucraina giocherà un ruolo tutt’altro che marginale.

Arsenale persiano. Le armi iraniane a sostegno dello sforzo bellico di Kyiv

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