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Chi si aspettava uno stravolgimento degli assetti costituzionali e un radicale cambio della forma di governo del nostro paese, è rimasto deluso dalla lettura del disegno di legge costituzionale approvato dal Consiglio dei ministri  su proposta della presidente del Consiglio e del ministro Maria Elisabetta Alberti Casellati.

Il testo, infatti, formalizza l’elezione diretta del presidente del Consiglio sulla base di quanto già avviene, con riferimento al presidente di Regione e ai sindaci, a livello territoriale e perfettamente in linea con quanto accade a livello nazionale dal 1994 – ovvero da quando i nomi dei leader delle coalizioni politiche sono presentati, in campagna elettorale, come candidati presidenti del Consiglio.

In sostanza la riforma sposa in pieno la proposta avanzata da Matteo Renzi del Sindaco d’Italia e che era stata, in realtà, proposta, per la prima volta nel 1993 dall’allora leader democristiano Mario Segni e dal segretario del Partito democratico della sinistra (Pds), Achille Occhetto. Non sappiamo se tale scelta è voluta o casuale, ma certamente impone una riflessione all’interno delle forze di maggioranza visto che è molto lontana da quanto dichiarato in campagna elettorale. Potrebbe anche darsi che il cambio di paradigma sia stato il frutto di un approfondimento sul sistema costituzionale presidenziale – il cui archetipo è quello statunitense – caratterizzato da un tale gioco di pesi e contrappesi che spesso il presidente è alla completa mercè del Parlamento.

Nel premierato regionale, invece, questo non può accadere perché in caso di sfiducia del presidente della Regione o di sue dimissioni, il Consiglio regionale è sciolto e sono convocate nuove elezioni.

In realtà questo meccanismo automatico è il grande assente nella riforma approvata dal Consiglio dei ministri. Nel premierato meloniano, infatti, qualora il presidente eletto si dimetta o sia sfiduciato o cessi per altri motivi il suo mandato, può essere sostituito da un altro parlamentare eletto nella sua stessa coalizione e purché assicuri il medesimo indirizzo politico. Solo nell’ipotesi che anche quest’ultimo cessi le funzioni, si prevede lo scioglimento.
Al riguardo occorre osservare tre questioni.

La prima: il motivo di non prevedere subito il meccanismo dello scioglimento automatico in caso del venire meno della fiducia verso il premier, potrebbe essere stato un suggerimento esterno alla maggioranza e finalizzato ad evitare di costruire un meccanismo tale per cui il Parlamento è sotto scacco del presidente. Così disponendo, infatti, la norma prevede una via di fuga qualora venga meno, per qualsiasi motivo, la fiducia tra governo e Parlamento, consentendo alle Camere di esprimere una alternativa e di proseguire la legislatura. Questo, però, indebolisce nettamente il presidente eletto e pone un enorme potere sul presidente sostituto visto che lui rappresenta l’unica possibilità per le Camere prima dello scioglimento. In altri termini si sposta da uno all’altro l’arma del potenziale ricatto.

La seconda: la formulazione della norma è tale che la fiducia al presidente sostituto possa essere data anche da gruppi politici estranei all’iniziale maggioranza. Si dirà: ma questi devono aderire all’indirizzo politico iniziale e in questo modo sono vincolati. Ma se lo si dice, non si conosce nulla della storia politica di questo Paese… Al riguardo occorrerebbe precisare nel testo che deve esservi una identità anche di gruppi politici altrimenti la norma anti-ribaltone si trasforma in una norma incentiva-ribaltone.

La terza: il presidente della Regione ha il potere di revocare in qualsiasi momento gli assessori. Il presidente del Consiglio, invece, nel testo licenziato, non ha questo potere. Perché?

Per come disegnato, dunque, il premierato meloniano sembra un vorrei ma non posso, un premierato light, col rischio di produrre un’anima zoppa. Il disegno di legge costituzionale, tuttavia, è solo il punto di partenza di un percorso di riflessione che, si spera, possa essere fatto senza demonizzazioni e senza invocare pericoli inesistenti. Partendo da questo testo si potranno chiarire i passaggi relativi al premio di maggioranza (che, per come formulato, è evidentemente incostituzionale), alla sostituzione del presidente (sottolineando il mantenimento della medesima maggioranza politica che ha dato la fiducia al presidente eletto) e alla revoca dei ministri (da rimettere alla disponibilità del presidente), così da approvare un testo che, quanto meno, metta un po’ di ordine nel sistema politico nazionale.

Vi spiego perché il premierato light non va demonizzato. Scrive Petrillo

Di Pier Luigi Petrillo

Il premierato meloniano sembra un vorrei ma non posso, col rischio di produrre un’anima zoppa. Il disegno di legge costituzionale, tuttavia, è solo il punto di partenza di un percorso di riflessione che, si spera, possa essere fatto senza demonizzazioni e senza invocare pericoli inesistenti. L’intervento di Pier Luigi Petrillo, costituzionalista, Università Luiss Guido Carli e Unitelma Sapienza

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