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Caro direttore,

Tra i tanti, ci sono due aspetti della vicenda Ruby che mi hanno colpito. Uno, con le dichiarazioni Marina Berlusconi, è legato alla sfera privata del Cavaliere, l’altro ai risvolti che la sentenza di Milano potrà avere sul futuro prossimo del governo Letta e di conseguenza su quello del Paese: credo siano strettamente legati, vediamo il perché.

Il primo. Marina è una donna intelligente, capace e determinata. La rivista americana Forbes l’ha definita alcuni anni fa come la più potente d’Italia, tra le prime cinquanta al mondo, unica italiana presente nella speciale classifica della rivista americana.
E’ entrata nelle aziende di famiglia fin da giovanissima, ricoprendo negli anni ruoli via via sempre più di rilevanti fino ad arrivare alla presidenza del gruppo fondato dal famoso padre che di nome fa Silvio. Una brillante carriera non solamente imputabile al cognome che porta, Berlusconi, ma soprattutto alle sue doti personali di abile ed attenta imprenditrice. Tra le figlie del Cavaliere, essendo tra l’altro la primogenita, è quella che sicuramente si è ritagliata un posto particolare nella vita privata del padre, assumendo in parte quello della nonna Rosa scomparsa nel 2008, che in vita fu sempre prodiga di consigli ed affettuose manifestazioni d’amore nei confronti del figlio e da lui sempre ascoltata. E’ noto come si debba a mamma Rosa la decisione finale di Berlusconi ad entrare in politica dopo che tutta la sua cerchia più intima, a partire dall’amico d’infanzia Fidel, lo avevano scoraggiato in tal senso. Alcuni ancora la rimproverano per questo.

Leggendo quindi le dichiarazioni di Marina Berlusconi in merito alla sentenza che ha visto condannare il padre per la questione Ruby, si avverte una precisa differenza rispetto a quelle precedenti relative agli altri processi a carico del Cavaliere che si sono succeduti negli ultimi venti anni. Certamente sono sempre cariche della medesima determinazione ed amarezza nell’identificare l’utilizzo della giustizia quale mezzo per eliminare l’avversario dalla scena politica. Tuttavia, ciò che emerge con chiarezza è la delusione di una figlia che si ribella perché, in questo caso, non si tratta solo di una sentenza, di un provvedimento giuridico sul quale è lecito discutere, bensì di un giudizio morale sulla vita privata del padre. Come figlia non lo riconosce e non può accettare che sia descritto come un anziano ricco puttaniere, sfruttatore di povere ragazze indifese, tanto da dover diventare un concussore nel tentativo di nascondere i suoi peggiori vizi. Concussore peraltro ingenuo o stupido, dato che avrebbe potuto tranquillamente affidare ad altri il compito della famosa telefonata alla questura milanese. Su quale ordine costrittivo abbia poi dato, rimangono molti dubbi, dato che i presunti concussi pare abbiano negato la concussione. Come, dall’altra parte, la presunta prostituta minorenne ha negato di aver mai avuto rapporti intimi con il Cavaliere. Sono certamente valutazioni che spettano a chi conosce gli atti, ma in attesa delle motivazioni della sentenza qualche dubbio e sospetto di essere di fronte ad un enorme giudizio morale ed ipocrita inevitabilmente si fanno strada: in tutto ciò nulla sarebbe riferibile all’ordinamento giuridico di uno Stato di diritto, rispettoso della dignità dell’uomo, di tutti i cittadini, compreso Silvio Berlusconi.

Qualche giorno fa, in occasione di una sua intervista, un lobbista che sussurra ai potenti indicava in Marina Berlusconi l’unica erede possibile per guidare in futuro il movimento politico fondato dal padre Silvio.

Da questa considerazione di Bisignani, veniamo al secondo punto di cui all’inizio: che succede ora al governo delle larghe intese? Al di là delle dichiarazioni di circostanza e della gravità della sentenza citata, ritengo che il vero punto critico sarà rappresentato dal verdetto della Cassazione sulla faccenda diritti Mediaset che dovrebbe arrivare a novembre. Nel frattempo, è però inevitabile che tutto il Pdl faccia quadrato attorno al suo leader, spostando la priorità dell’azione dell’esecutivo sulla questione della giustizia, rendendola così dirimente sulle future sorti del premier Letta.

I malumori nel Pd per una forzata convivenza con coloro che molti di loro continuano a vedere come un nemico sono di tutta evidenza: difficile pensare che non possano acuirsi una volta che il dibattito sulla riforma della giustizia prenda il via. Qualsiasi aspetto possa anche lontanamente riguardare la situazione del leader del centrodestra, sarebbe visto come una ulteriore concessione, un tradimento dei principi casti e puri, spesso stucchevoli e supponenti, di quella sinistra un po’ bacchettona e moralista che ancora non ha metabolizzato il responso delle urne e, probabilmente, non perdona alla realtà di non essere quella che vorrebbe che sia.
Letta vivrà quindi in uno stato di fibrillazione continua. Seppur abile funambolo ex democristiano, avvezzo alle correnti ed agli umori di partito, dovrà guardarsi dagli “amici” interni, per di più con l’ingombrante fantasma di Renzi all’orizzonte, sempre pronto a soddisfare la propria smisurata e legittima ambizione politica.

Mentre si riaccende violentemente la sterile questione giudiziaria su Berlusconi, in assenza di altri potenziali leader nel centrodestra, si profilano settimane di fuoco che condurranno (forse) ad un prossimo confronto diretto tra l’erede del Cavaliere che porta il suo stesso cognome ed il guascone toscano. Temo che a farne le spese saranno gli italiani, oramai esausti dalla crisi e dalla mancanza di prospettive concrete. Soprattutto temo che non servirà a nulla: la figura di un leader è si necessaria, ma in mancanza di un modello istituzionale che possa garantirgli poi la possibilità di governare, senza dover soggiogare alle misere istanze di coalizioni deboli legate ai piccoli interessi di parte, assisteremo ad un ennesimo fallimento ed alla consacrazione dei burocrati di Stato, quelli che hanno davvero vinto nel passato e continuano a vincere nel presente.

Berlusconi, Marina, Renzi. Ecco che cosa può succedere dopo la sentenza Ruby

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