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Austin Russell ha 28 anni e nel dicembre 2020 è diventato il più giovane miliardario self-made del mondo grazie alla sua azienda Luminar, che produce sensori per auto che si guidano da sole. A maggio avrebbe raggiunto un accordo per acquisire l’82% delle quote di Forbes Global Media Holdings, il gruppo a cui fa capo il magazine Forbes, valutato 800 milioni di dollari. Integrated Whale Media Investments, gruppo di Hong Kong proprietario dell’editrice dal 2014, manterrebbe una quota di minoranza.

Ma sulla strada verso Forbes intrapresa dal giovane miliardario, che ha avuto Peter Thiel, cofondatore di PayPal, tra i primissimi a investire su di lui oltre un decennio fa, si è presentato un ostacolo: Gregory Treverton, già presidente, sotto l’amministrazione Obama, del National Intelligence Council degli Stati Uniti, l’agenzia di raccordo tra la comunità d’intelligence e i decisori politici. In un memorandum inviato al dipartimento del Tesoro, che supervisiona l’attività del Comitato sugli investimenti esteri negli Stati Uniti (Cfius), ha avvertito che “esiste una valida ragione di sicurezza nazionale”, legata a Cina e Russia, per impedirgli di mettere le mani sulla società. A rivelarlo è Politico, che ha pubblicato il documento.

Treverton fa notare che gran parte dei fondi per l’acquisizione proviene da partner stranieri, molti dei quali potrebbero ignorare gli interessi americani.

Nell’affare è coinvolto l’indiano Sun Group, il cui vicepresidente Shia Khemka ha vissuto in Russia per 22 anni ed è stato membro del Consiglio consultivo per gli investimenti esteri del primo ministro russo. Almeno 100 dei 300 milioni di dollari promessi da Khemka dovrebbero passeranno attraverso le sue figlie nate negli Stati Uniti senza arrivare direttamente da lui.

E ancora: Magomed Musaev, proprietario di Forbes Russia e legato all’oligarca russa Suleyman Kerimonov, sanzionato dagli Stati Uniti, ha avuto un ruolo fondamentale nel coinvolgere Russell nell’affare. Secondo l’International Consortium of Investigative Journalists, Kerimov “ha legami con una rete finanziaria segreta che si ritiene contenga le ricchezze segrete di [Vladimir] Putin” ed “è stato uno dei gruppi selezionati di potenti oligarchi convocati da Putin a Mosca il giorno in cui la Russia ha invaso l’Ucraina”. L’azienda di Russell è stata “lanciata con l’aiuto di 20 milioni di dollari del patrimonio di Kerimov”, ha rivelato l’anno scorso il San Francisco Standard.

Inoltre, Luminar ha anche una partnership con Saic Motor Corporation, più grande casa automobilistica della Cina, di proprietà del governo.

Treverton arriva a chiedersi se Russell possa essere un prestanome. Se è vero che un ventottenne senza esperienza nel settore dei media possederà l’82% di Forbes, “ciò significa che il governo cinese sarà in grado di influenzare l’82% di Russell più la percentuale di Sun Group, ovvero il 90% degli interessi di voto”, conclude.

Un portavoce di Forbes ha respinto con forza l’insinuazione che il giornale sia controllato da potenze straniere. “Forbes è già di proprietà e controllato da una società di investimento di Hong Kong dal 2014 e ha regolarmente pubblicato storie critiche nei confronti del governo cinese”, ha dichiarato a Politico. “Con l’acquisizione di Forbes, Russell è per contratto l’unico decisore e azionista di controllo, riportando il controllo negli Stati Uniti, con la maggioranza dei capitali dei suoi investitori provenienti dagli americani”.

L’azienda è convinta di poter chiudere “nei tempi previsti” ma il Cfius potrebbe pensarla diversamente. Il pressing del Partito repubblicano sull’amministrazione Biden era già forte. Ora si è aggiunta un’autorevole voce legata al Partito democratico.

Forbes in mani di Cina e Russia? I dubbi negli Usa

Gregory Treverton, già presidente del National Intelligence Council, scrive al Tesoro: c’è “una valida ragione di sicurezza nazionale” per impedire al miliardario Austin Russell di mettere le mani sulla società editrice. Ecco quale

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