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Il dibattito intorno al tema del riformismo si arricchisce ogni giorno di contributi di altissimo livello che ne fanno capire che la distorsione del termine il quale, oltre a creare confusione storica e sociale, crea inevitabilmente una delusione per coloro che si sono spesi per il senso reale del processo davvero riformista.

Abbiamo assistito a un rovesciamento di senso del concetto di riformismo – afferma Antonio Lettieri Presidente del CISS (Centro Internazionale di Studi Sociali) e Direttore responsabile della Rivista Eguaglianza e Libertà –

 

“Fino a un certo punto – continua Lettieri – era la connotazione di una sinistra progressista di varie scuole, nell’insieme critica verso il modello capitalistico e tendente ad accrescere i diritti di cittadinanza e a combattere la diseguaglianza. I diritti nel campo del lavoro, la legislazione sociale e il welfare state, l’ampliamento dei servizi pubblici, l’intervento dello stato in economia etc. ne erano le caratteristiche di fondo.
Dopo gli anni 80, col trionfo del reaganismo e del thatcherismo (Friedman e Hayek), e con la mediazione degli organismi sovranazionali come l’OCSE il “riformismo” è diventato il rovesciamento di tutto ciò. Un “contro-riformismo” inesausto. In sostanza, in America l’anti- New Deal; e in Europa il rovesciamento del welfare in senso ampio, la sovranità dei mercati, del ritiro dello Stato, il tutto spacciato per rinnovamento in nome della globalizzazione o della rivoluzione informatica, mentre si tratta della riconquista dell’egemonia delle elites dominanti.

Si potrebbe dire che negli ultimi tre decenni è stata portata avanti una rivoluzione ideologica e politica camuffata da “riformismo” per darle una veste accettabile nel più ampio spettro politico possibile, “oltre la destra e la sinistra” secondo il teorema di Giddens, mentore di Tony Blair e della sua “terza via”.

 

Molto indignato è, invece, Stefano Sylos Labini – ricercatore ENEA, autore con Giorgio Ruffolo de “Il film della crisi. La mutazione del capitalismo” (Einaudi, 2012)-  poiché sul concetto di riformismo,  a suo avviso,  si è compiuto uno scempio tradendo di fatto il serio lavoro “programmatico” di coloro che immaginavano, con la sostanza dei fatti, un nuovo e diverso Paese. Sul punto, specifica Sylos Labini,  che “tutto ormai ha perso di significato, poiché negli anni 60 vi era una chiara e ben definita connotazione, anche in relazione al diverso approccio progettuale con esperienze che ancora oggi hanno comunque lasciato una traccia. Dispiace constatare che negli attuali decisori, anche a livelli europei, non vi sia quella attenzione alle scelte pubbliche che possano contrastare la tendenza verso una società sempre di più spaccata in due tronconi, benestanti e persone in difficoltà quotidiana. La politica dell’austerità ha di fatto cancellato ogni disegno riformista svuotando anche l’Europa della sua azione riequilibratice. Solo l’avvento della federazione degli Stati Uniti d’Europa potrebbe ridare un senso ad una volontà riformatrice con evidenti ricadute sul nostro Paese. Ma al momento sono decisamente scettico, in quanto le attuali politiche governative soffiano in senso contrario.

E’ chiaro, dunque, che sul termine riformismo vi sono ancora pagine da scrivere e da rivedere. Occorre riportare al centro dell’attenzione, soprattutto europea, le vere riforme che servono per un concreto cambiamento, aldilà degli aspetti ideologici oggi, evidentemente, compressi nella fumosità di approssimati tentativi che non hanno portato ad alcuna conseguenza di benessere per lo “stato della società” .

Società sempre più distante dai decisori e che paga quotidianamente gli esiti di una miopia ormai inaccettabile. Brandelli di identità per un riformismo ormai interpretato.

Gli "abiti nuovi" del Riformismo

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