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Pubblichiamo un articolo del dossier “Siria: Attacco Usa – Italia si smarca” di Affari Internazionali.

L’intervento punitivo che l’amministrazione Obama vorrebbe effettuare contro la Siria ha una base legale debole, non tanto perché manchino i motivi (l’impiego delle armi chimiche e la necessità di sovvenire alla responsabilità di proteggere la popolazione) ma perché manca il mandato del Consiglio di Sicurezza.

Inoltre, a differenza di casi precedenti, manca quel largo consenso internazionale che, a dispetto della dubbia legalità, dettero “legittimità” a interventi come quello in Kosovo. Sulla questione aleggia anche il precedente delle “prove” esibite nel 2003 all’Onu dall’allora segretario di stato statunitense Colin Powell sull’esistenza delle armi nucleari dell’Iraq che si rivelarono poi inesistenti.

Così, il parlamento britannico ha costretto il primo ministro David Cameron, sostenitore in prima linea dell’intervento, a fare marcia indietro. Ugualmente, il presidente francese François Hollande, smarcandosi dall’interventismo della prima ora del ministro degli esteri Laurent Fabius, parla della necessità di avere luce verde dall’Onu, schierandosi con la Germania.

La Lega Araba, diversamente da quello che accadde con la Libia, sostiene l’intervento ma nessun paese arabo desidera entrare nella coalizione militare destinata ad effettuarlo. La maggior parte dei paesi europei è contraria o perplessa e così le loro opinioni pubbliche. L’Italia non sostiene l’intervento, né tanto meno intende parteciparvi. Obama, rimasto solo e intrappolato nelle sue incaute red lines, prenderà le sue decisioni.

Vale la pena di riflettere sul merito della questione e sulla posizione dell’Italia. Posizione che è insolita rispetto al passato, rispetto al dibattito e alle profonde divisioni che in casi analoghi si sono avuti fra le forze politiche e rispetto al significato che nella sua politica estera ha guadagnato la cospicua presenza internazionale realizzata sin dall’inizio degli anni ‘80 con le missioni militari.

Occorre prendere in considerazione due aspetti. Da un lato, il senso di questa posizione nei confronti della specifica azione militare che gli Stati Uniti potrebbero decidere di perseguire: questo significa appunto entrare nel merito della questione chiedendosi se tale azione ha senso rispetto alla situazione in Medio Oriente e merita un appoggio oppure no.

Dall’altro, il significato che la posizione italiana riveste nell’ambito più generale della sua politica estera, cioè oltre che verso il Mediterraneo e il Medio Oriente, verso l’Europa e gli Stati Uniti, vale a dire il sistema di alleanza cui appartiene.

Troppo tardi
La lezione a suon di missili di crociera che gli Stati Uniti potrebbero dare alla Siria potrà pure infliggere gravi danni, ma non riuscirebbe a cambiare le carte della partita politica in corso. Questo sarebbe stato possibile durante la prima fase del conflitto. L’occasione è ormai passata poiché il fronte dei ribelli invece di consolidarsi politicamente e militarmente si è frammentato in blocchi contrapposti che già cominciano cospicuamente a combattersi fra di loro.

D’altra parte, le forze lealiste si sono rodate e rafforzate. L’appoggio politico esterno da parte della Russia, dell’Iran e degli sciiti libanesi ed iracheni, che all’inizio era ancora confuso e debole, si è trasformato in flussi regolari di risorse, armi e uomini ed è diventato per gli stessi alleati della Siria un impegno politico che non potrà essere certamente infranto dalla salva di cruise che la Casa Bianca invierà.

Il conflitto siriano è regionale e la sua posta è diventata molto più alta che agli inizi. Per avere un impatto occorre a questo punto entrare nel conflitto, se non direttamente almeno con un piano di alleanze sul terreno, addestramento, assistenza ai profughi e fornitura di armi di rilievo ben più ampi di quanto sia accaduto finora. Ma gli Stati Uniti e i paesi occidentali non vogliono entrare nel conflitto, probabilmente per ottime ragioni, e quindi la pioggia di cruise è destinata a restare un gesto, forse anche un bel gesto, ma nulla di più.

Nessuna vittoria desiderabile
Il conflitto siriano si è evoluto in modo tale da non avere nessuna prospettiva desiderabile dal punto di vista occidentale. Non è desiderabile la vittoria di Assad, perché, oltre a confermare al potere un regime altamente tirannico e ormai fermamente anti-occidentale, rafforzerebbe il fronte iraniano e sciita dei nemici dell’Occidente e ne indebolirebbe gli alleati.

Non è desiderabile la vittoria dei ribelli, perché questi sono destinati a combattersi tra loro e in maggioranza appartengono a fazioni estremiste e anti-occidentali. In questo senso è vero quello che pensano molti governi, incluso quello italiano: il conflitto può avere solo una soluzione politica.

Tuttavia, la soluzione politica del conflitto è solo formalmente siriana poiché in realtà riguarda l’intera regione. Per avere un impatto militare, gli occidentali dovrebbero entrare nel conflitto. Per avere un impatto politico, dovrebbero avere una strategia che riguardi l’intera regione.

Strategia mancante
Questa strategia manca. La politica egiziana è fallita non essendo riuscita a trasformare i Fratelli Musulmani in una efficace forza di governo. Così, l’Occidente è rimasto senza quella forza politica moderata che sarebbe essenziale a un’evoluzione della regione in linea con i suoi interessi. I Fratelli Mussulmani radicalizzati, in compagnia di salafiti e jihadisti, sono un problema in più, non certo una soluzione.

D’altra parte, la politica iraniana è rimasta ferma ai negoziati nucleari mentre richiederebbe una visione e un impegno più vasti. Per inciso, si deve anche osservare che il bombardamento della Siria ci impedirà di sapere se, com’era possibile, la nuova leadership iraniana aveva delle iniziative politiche di un qualche interesse.

Questa debolezza di iniziativa politica da parte dell’Occidente riflette il fatto che fondamentalmente gli Stati Uniti vogliono sganciarsi dalla regione, probabilmente sottovalutando gli interessi che continuano ad averci, mentre gli europei sono troppo assorbiti nella loro crisi per essere realmente interessati al Medio Oriente.

Il conflitto siriano non ha una soluzione militare – come ha affermato giustamente il ministro Emma Bonino – ma è anche vero che la posizione di fondo dell’Occidente fa ritenere che forse non ha neppure una soluzione politica. Questo soluzione, occorre aggiungere, è anche fortemente ostacolata dall’assenza di ogni spirito di compromesso, specialmente da parte dei contendenti.

Inedita posizione italiana
Poiché il bombardamento della Siria non sembra avere né un senso politico né uno militare, né poter cambiare le carte in tavola, la posizione italiana ha quindi una sua razionalità. La posizione italiana, – e così veniamo al secondo punto del nostro argomento – lascia un po’ perplessi nei termini della politica estera generale del paese.

Finora l’Italia, sia pure con l’opposizione di varie forze, sia nel Parlamento sia nella società civile, ha realizzato una presenza di alto profilo nelle missioni all’estero, facendo di queste missioni il punto di leva per battere un marginalità internazionale sempre in agguato.

La posizione attuale, che non prevede una partecipazione all’intervento neppure se ci fosse un mandato del Consiglio di Sicurezza e neppure la concessione dell’utilizzo delle basi italiane (ma se l’intervento finisce nelle mani della Nato?) da parte alleata, è un cambiamento improvviso e radicale.

È anche singolare che la decisione del governo non abbia suscitato nessuna significativa opposizione da parte dei partiti e degli ambienti più attaccati alle alleanze tradizionali. È questo il risultato dell’estrema debolezza politica ed economica del paese? Che cosa significa a lungo termine questo non allineamento di un paese solitamente allineato? Che cosa significa nella già difficile posizione europea dell’Italia?

La posizione del governo non ha alle spalle nessun dibattito. Invece, un dibattito fra le forze politiche e nel paese, per quanto assorbente possa essere la difficile congiuntura nazionale, sembra necessario.

Roberto Aliboni è consigliere scientifico dello Iai. 

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